“La normalità è il luogo migliore dove vivere”: il mio intervento all’H-Pride di Cavriago

Sabato 2 dicembre ho partecipato ad “H-PRIDE – Diritti di Cittadinanza diversamente ritrovabili” in collaborazione con AUSL di Reggio Emilia , Unione Val d’Enza e diverse Associazioni. Il Convegno è stato un momento di sintesi di un percorso che da tempo si svolge insieme alle persone disabili, alle famiglie, ai gestori dei servizi, al mondo del lavoro e del tempo libero, insieme alle quali si vuole ripensare e riprogettare il modo di collaborare, nell’ottica di una piena realizzazione delle persone nel proprio personale progetto di vita. Di seguito potete trovare il mio intervento:

 

Buongiorno, siamo arrivati alla conclusione di questa mattinata molto impegnativa e bella per la quale ringrazio le amministrazioni comunali, le cooperative, le famiglie e tutti coloro che hanno collaborato.

È stata una mattinata ricca di spunti, suggerimenti e proposte. Credo che uno dei meriti principali dei lavori sia stato quello di avere avuto un approccio molto concreto, e di aver affrontato le difficoltà quotidiane delle famiglie e cercato di dare insieme delle risposte. Più che parlarne di questi temi, bisogna farli vivere, in particolare nel quotidiano.

Ma soprattutto si è posto al centro dell’attenzione di queste comunità le persone con disabilità nei loro diritti. Il grado di qualità del vivere civile si misura dalla qualità di vita delle persone con disabilità e delle loro famiglie. La comunità tutta deve arricchirsi di questa presenza: una presenza delicata, di grande umanità, di questa grande ricchezza ha bisogno la comunità sociale e civile.

Il contesto è importante: serve una comunità attenta e inclusiva, la famiglia non può essere l’unico supporto economico e affettivo, dobbiamo ingaggiare la comunità presente. L’inclusione delle persone più fragili deve essere concreta e non retorica: si tratta infatti di un indicatore del livello di democrazia e civiltà di una società. L’Emilia Romagna è vicina alle persone con disabilità e alle loro famiglie: dal Fondo per la non autosufficienza ai contributi sul ‘Dopo di noi’, fino all’impegno con cui a livello nazionale abbiamo chiesto e ottenuto il primo Fondo sui Caregiver, assieme a tanti amministratori del nostro territorio. Crediamo nella dimensione culturale ed educativa dell’accoglienza e dell’inclusione delle persone diversamente abili in tutti gli ambiti della nostra società.

Il Governo Renzi ha fatto un salto di qualità rispetto al passato nelle riforme che sono state approvate, abbiamo aperto il cantiere sociale, lavorato su leggi utili, talvolta storiche (penso alla legge sul Dopo di noi preceduta da leggi fondamentali come la 104 o la 328 che considero le “legge madri” di quella sul c.d. Dopo di noi). Questi temi dichiarano il livello dell’anima, dell’anima sociale della politica.

Con la legge sul Dopo Di Noi si corrisponde all’attesa di quasi 20 anni per dare vita o continuità a progetti che stanno nascendo sul territorio grazie soprattutto al contributo delle fondazioni, degli enti locali lungimiranti, del socio sanitario, del terzo settore. Questa legge è stata bloccata per tanti anni: non si chiudeva il cerchio sul quadro normativo ma soprattutto nessuno ci metteva le risorse. Oggi c’è perché c’è stata una scelta politica, il Governo ci ha creduto, è stata ritenuta una priorità del Paese. Finalmente si sono trovate le risorse.

Una legge che vuole riconoscere dignità e favorire l’autonomia delle persone con disabilità, merito di un’attenzione diffusa del mondo dell’associazionismo e del volontariato che ha quelle caratteristiche di agilità, capillarità e flessibilità che le istituzioni non sempre hanno e al quale dobbiamo essere grati perché ci sono persone che dopo anni di lavoro dedicano gratuitamente e generosamente il loro tempo per gli altri.

Il DDN è una responsabilità che ci assumiamo con finanziamenti per la prima volta da parte del pubblico su una materia di competenza sociale in capo a regioni e comuni. A Livello nazionale con un investimento da 90 milioni nel 2016, 38,2 nel 2017 e 56,1 milioni nel 2018. Di questi, quasi 13 milioni di euro nel triennio per la Regione Emilia Romagna.

Le risorse del 2016 già assegnate ai distretti da parte della Regione erano pari a 6 milioni e 500 mila euro, per esse ogni distretto nell’autunno 2017 ha definito e inviato in regione il programma distrettuale di utilizzo delle risorse e avviato le attività. Erano così ripartite:

  1. 4 milioni per interventi assistenziali e socio educativi, ovvero: percorsi accompagnamento per uscita dal nucleo familiare di origine e interventi di supporto a domiciliarità in alloggi che siano abitazioni (anche quella di origine) o gruppi appartamento che riproducano le condizioni abitative e relazionali della casa familiare; programmi di sviluppo di competenze per gestione vita quotidiana, di accrescimento della consapevolezza, di abilitazione e per la maggiore autonomia possibile (weekend e percorsi con educatori per  imparare a vivere da soli) e interventi di permanenza temporanea in soluzioni abitativa extra familiari per restituire spazi di autonomia e libertà a genitori e figli
  2. 2 milioni e 570 mila euro per interventi strutturali di adattamento dell’ambiente domestico di piccola entità e basa complessità per rendere disponibili in tempi brevi appartamenti per progetti individuali con abitazioni che abbiano sempre le caratteristiche della familiarità (max 5 posti) con destinatari Comuni e Unioni dei Comuni, organizzazioni di volontariato, cooperative sociali, associazioni di genitori e singoli familiari. Il finanziamento massimo non può superare il 90% del costo complessivo e non potrà essere inferiore a 50 mila euro. Spese ammissibili: acquisto immobili, ristrutturazione appartamenti privati (no strutture di accoglienza e case di riposo) e acquisto attrezzature, soluzioni tecnologiche e arredi.

Nell’autunno 2017 sono stati destinati ulteriori 2 milioni e 800 mila euro al finanziamento di uno specifico bando regionale per l’avvio di nuove forme di coabitazione (rientrano in questa categoria appartamenti per piccoli gruppi, massimo 5 persone) o soluzioni di co-housing (un modo di abitare in comunità che coniuga gli spazi privati con aree e servizi a uso comune) purchè riproducano le condizioni abitative e relazionali della casa familiare.

La legge prevede anche la tutela delle risorse patrimoniali e mobiliari delle persone con disabilità che vengono accantonate dai familiari per garantirne la cura. Agevolazioni per privati, enti e associazioni che decidono di stanziare risorse a tutela delle persone con disabilità: sgravi fiscali, esenzioni, incentivi per la stipula di polizze assicurative, trasferimenti di beni, diritti post mortem. Tutte misure che non si vogliono sostituire al welfare pubblico ma che possono essere sussidiarie grazie all’aiuto delle Associazioni, Regioni, Enti Locali e terzo settore per promuovere questi progetti.

Il senso della legge è, come dice la convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, dare la possibilità, ovvero il diritto di scelta: scegliere il proprio luogo di residenza, dove e con chi vivere. Riconoscere il diritto all’autodeterminazione. Inoltre, ormai tutti convergono sul NO a strutture residenziali di grandi dimensioni separate o lontano dalla comunità. Accoglienza diffusa dunque, e una politica per la residenzialità adulta che non può trovare risposte solo nella istituzionalizzazione. Dobbiamo cercare di evitare l’istituzionalizzazione favorendo la de-istituzionalizzazione

Dove iniziano i diritti umani universali? In piccoli posti vicino casa, così vicini e così piccoli Ma essi sono il mondo di ogni singola persona; il quartiere dove si vive, la scuola frequentata, la fabbrica, fattoria o ufficio dove si lavora. Questi sono i posti in cui ogni uomo, donna o bambino cercano uguale giustizia, uguali opportunità, eguale dignità senza discriminazioni. Se questi diritti non hanno significato lì, hanno poco significato da altre parti. “Eleanor Roosevelt”

Si deve partire dai territori, dal luogo in cui le persone hanno costruito i loro legami e hanno trovato spazio di partecipazione pubblica nella dimensione lavorativa. E’ lì che dobbiamo contrastare una diffidenza culturale e considerare le persone con disabilità come soggetto attivo da coinvolgere nelle scelte. Far crescere gli spazi di partecipazione anche pubblica.

Non si progetta un dopo se non è coerente ad un piano individuale, ad un progetto di vita che è una dimensione dinamica, una evoluzione attraverso la presa in carico in vita. Il dopo di noi si progetta durante noi. Adesso che abbiamo fatto nostro il concetto di presa in carico e diritti, serve superare i troppi vincoli legati a standard gestionali e strutturali dei servizi accreditati che regolano la vita di queste persone. Perversione burocratica, sistemi rigidi e blindati, bisogna lavorare per alleggerire i parametri e costruire e dare vita a nuovi servizi e non a nuove strutture.

Voglio condividere con voi un brevissimo dialogo familiare. Oggi, mia sorella Cecilia, che ha la sindrome di down, ha espresso con chiarezza un suo bisogno, “Prenditi cura di me” ha detto alla mamma. Mia mamma, dopo un breve silenzio, ha risposto: “Certo Cecilia, anche tu dovrai prenderti cura di me”. E’ un prendersi cura reciproco. Ci prendiamo cura di noi nel momento in cui esprimiamo la nostra umanità attraverso azioni concrete, chi con il semplice affetto, chi con piccole azioni quotidiane. La circolarità del prendersi cura familiare deve però estendersi alla intera comunità. Una comunità che va ingaggiata, ora. La legge sul Dopo di noi è una risposta doverosa e concreta ai bisogni delle famiglie che si prendono cura dei propri cari con disabilità grave. Ma tutta la comunità, non la sola famiglia, deve prendersi cura…

La cultura della fragilità e l’etica della cura, il prendersi cura in modo circolare che viene dalle famiglie deve allargarsi e coinvolgere la comunità nel reciproco prendersi cura, questo genera valore e felicità e un alto modo di vivere la comunità.

Siamo convinti, infine, che le famiglie non debbano essere lasciate sole, c’è bisogno della presenza delle Istituzioni, c’è bisogno di un lavoro comune se vogliamo davvero rendere tangibile e concreta la nostra idea di benessere e futuro per le persone con disabilità. E forse c’è bisogno di chiedersi davvero se esiste in qualche modo un diritto alla felicità. Nel romanzo che ho amato molto di Anna Karenina si dice che “ogni famiglia felice si assomiglia, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”. In effetti i nostri ordinamenti europei non riconoscono il diritto alla felicità come uno degli obiettivi dell’ordinamento, lo fa la costituzione americana. Forse perché noi consideriamo troppo grande il tema della felicità per la politica, perché c’è una vita fuori che supera la politica, che viene prima ed è più importante. Però è un tema che deve riguardare anche chi ha incarichi istituzionali, chi ha incarichi politici e di governo. Perché forse dobbiamo puntare sulla famiglia e in particolare sulle persone più fragili che compongono le famiglie se vogliamo che di questa infelicità ce ne sia un po’ meno. Allora credo che senza un Dopo di Noi costruito Durante Noi ci siano più famiglie infelici a modo loro. E investire sul dopo di noi è giusto e urgente e significa porsi il tema di come essere più felici insieme come comunità.

E’ un cantiere dei diritti, un cantiere delle pari opportunità perché siamo tutti cittadini e abbiamo innanzitutto il diritto alla felicità e oggi, non abbiamo risolto tutti i problemi, però abbiamo confermato che c’è un cammino e l’importante è andare avanti cercando di farlo insieme.

Grazie.