Anziani non autosufficienti: il Governo tradisce la riforma e volta le spalle a 3,8 milioni di persone fragili

“Quella sulla non autosufficienza è una riforma che resta vuota in assenza delle risorse necessarie per la sua attuazione: quando saranno esaurite le risorse del PNRR, non si potrà contare su un centesimo di finanziamento se il Governo non farà marcia indietro rispetto ai decreti attuativi”.

Lo afferma la consigliera Ottavia Soncini a margine della seduta della Commissione regionale Sanità che presiede durante la quale è stata approvata la risoluzione da lei presentata per rafforzare l’impegno della Giunta regionale nella Conferenza delle Regioni contro il contenuto dei decreti del Governo.

“È inaccettabile che il Governo volti le spalle a 10 milioni di cittadine e cittadini: gli anziani non autosufficienti e i loro familiari e caregiver. I decreti attuativi hanno avuto critiche dalla Conferenza delle Regioni, la maggior parte delle quali a guida centrodestra. Il Governo deve reperire le risorse necessarie per coprire l’erogazione di servizi che devono essere integrati e coerenti con i bisogni di assistenza a lungo termine e rivolti a tutte le persone non autosufficienti. Questi decreti tradiscono l’ambizione al cambiamento da cui era nata la riforma e scaricano sui territori, Regioni e Comuni, il problema della gestione dei servizi per 3,8 milioni di anziani non autosufficienti. – richiama preoccupata Soncini – In Emilia-Romagna quest’anno abbiamo superato i 500 milioni di finanziamento sul Fondo regionale per la non autosufficienza. Lo Stato, per tutte le venti regioni italiane stanzia appena il doppio ogni anno”.

“La nostra Regione ha fatto la scelta politica di aumentare le risorse sul fondo regionale non autosufficienza e per prima, nel 2014, si è dotata di una legge sui caregiver, approvata successivamente da altre 12 Regioni. – prosegue la democratica – Non ci fermiamo nel confronto con amministrazioni, associazioni, familiari e aziende sanitarie, penso ad esempio a quanto servirebbe un fondo regionale caregiver, ma nello stesso tempo chiediamo al Governo di fare la sua parte ed esercitare il suo ruolo, mettendo le risorse dove servono: sulla sanità pubblica, come sulle persone più fragili che hanno diritto di essere assistite e i familiari e caregiver di non essere lasciati soli nell’attività di sostegno che svolgono ogni giorno”.

A 5 anni dalla legge regionale per l’inclusione delle persone sorde, la Commissione Sanità chiama a raccolta le associazioni

“Nel 2019 in Emilia-Romagna abbiamo approvato una legge che garantisce e facilita l’accesso delle persone sorde, sordocieche o con disabilità uditiva a prestazioni e servizi sociosanitari appropriati, promuovendo inoltre misure per la loro inclusione sociale e assicurando condizioni di parità con gli altri cittadini nelle relazioni sociali, nella libera comunicazione interpersonale, nel lavoro, nell’accesso alle informazioni, ai servizi pubblici e privati e alle attività culturali ed educativo-formative. A quasi cinque anni dalla sua approvazione, la Commissione Sanità e Politiche sociali è stata convocata per fare il punto sulla sua applicazione insieme all’assessore regionale Igor Taruffi al coordinatore del tavolo regionale disabilità uditive Giovanni Bianchin, al presidente Giuseppe Varricchio dell’Ente Nazionale Sordi e alle rappresentanti del coordinamento FIADDA Emilia-Romagna Onlus, Luisa Mazzeo e Alessandra Fantini” lo riporta la consigliera Regionale e Presidente della Commissione, Ottavia Soncini.

“Sono stati presentati i progetti che in un quadriennio di applicazione della legge sono stati realizzati e i risvolti per consolidare una cultura che mette al centro la persona e il valore delle diversità, della dignità e delle pari opportunità. Con risorse del bilancio regionale, su tutto il territorio emiliano-romagnolo – approfondisce la consigliera – sono stati investiti poco più di 1,7 milioni di euro. A questi si somma 1 milione del Fondo nazionale inclusione. Le somme sono state impiegate in particolare per servizi di interpretariato LIS, servizi di segretariato sociale, sottotitolazione, accessibilità dei musei, attività culturali, sportive, turistiche e tempo libero”.

“In Emilia-Romagna ogni anno nascono in media 124 bambini affetti da sordità, un dato che dobbiamo avere in mente ogni volta che progettiamo servizi o provvedimento per la cittadinanza. Il dato positivo riscontrato durante la Commissione è che oltre ad aumentare i bisogni è salito anche il grado di consapevolezza grazie all’attivismo di tante associazioni e all’impegno di tante persone. Dobbiamo quindi continuare a investire le risorse necessarie lavorando sul progetto di vita della persona, sulla cura e il sostegno delle famiglie che ogni giorno vivono la disabilità. Non dobbiamo rinunciare ad un lavoro quotidiano soprattutto con i bambini e i giovani costruendo per loro un futuro più inclusivo” commenta in conclusione Soncini.

INVERNO DEMOGRAFICO E PAURA DEL FUTURO | Il ruolo dei cattolici impegnati in politica

*Lettera pubblicata su La Libertà – Settimanale cattolico reggiano nell’edizione del 19 marzo 2024

I dati Istat, che verranno pubblicati nei prossimi giorni, riportano un dato implacabile: 380mila nascite contro 660mila morti.

Come ha affermato Papa Francesco nella giornata internazionale della famiglia 2023, la nascita dei figli è l’indicatore principale della speranza di un popolo. Il nostro è un tempo complesso dove molti giovani vivono nella paura del futuro. Nella nostra città, nel nostro paese, moltissime persone pensano al mondo di domani come un luogo peggiore del presente.

Il tempo del Covid ha accelerato questa paura del futuro che albergava già da tempo nel cuore della comunità. L’allarme permanente per i cambiamenti climatici che, se non affrontati adeguatamente, rischiano di rendere inospitale il nostro pianeta e le tante guerre vicino a noi, ci fanno sentire poi ancor più fragili e impotenti di fronte a questioni enormi che investono milioni di persone nel paese, in Europa, nel mondo.

I dati sull’aumento della sofferenza psicologica dei nostri ragazzi sono impressionanti: il 27,5% degli adolescenti vive sintomi di ansia, il 13,8% denuncia sintomi depressivi e il fenomeno cresce (dati di Massimo Ammaniti).

Fa riflettere il fatto che, anche dove si sono messe in campo politiche familiari decennali (Francia, Germania, Svezia) e proprio laddove aumenta il benessere e l’uguaglianza di genere, non si raggiunge comunque il famoso numero dei 2 figli a donna per mantenere la popolazione in sostanziale equilibrio tra generazioni. Ci si avvicina, si galleggia intorno ma non si supera e a volte si scende: 1,24 in Italia, il valore più basso d’Europa; 1,8 in Francia, il più alto d’Europa.

Mettere al mondo un bambino sottende un progetto di vita che guarda al domani come l’opportunità di costruire un mondo migliore. La cultura di oggi sembra invece spesso ‘nemica’ della famiglia, cultura che occorre oggi contrastare con uno straordinario sforzo educativo a partire dalla famiglia, per arrivare alla scuola e all’intera società. Servono investimenti poderosi e di lungo periodo per restituire fiducia in valori e ideali comuni, che sono alla radice delle nostre comunità.

A proposito di paura del futuro c’è un dato che mi ha colpita: a Bologna nel 1944, sotto le bombe naziste, si mettevano al mondo più figli rispetto al 2023.

Nella società dei diritti viene troppo spesso messo in secondo piano quello di avere i figli che si desiderano negli anni della vita in cui è possibile averli. Alla preoccupazione per il futuro si legano poi impedimenti materiali oggettivi: costi degli affitti o dei mutui proibitivi, stipendi inadeguati, precarietà del lavoro, costi crescenti per sanità, istruzione, servizi, barriere per le mamme che lavorano.

La gioia di mettere al modo un figlio, più che un diritto, rischia di diventare un lusso che in pochi possono permettersi.

I tanti cattolici che servono la comunità attraverso la politica hanno oggi più che mai il dovere di attivarsi in prima persona, come previsto dalla nostra Costituzione, affinché tornino ad essere prioritarie le politiche pubbliche volte a sostenere, agevolare, incoraggiare chi ha il desiderio di mettere al mondo nuove vite. Per questo servono politiche lungimiranti, che predispongano un terreno fertile per promuovere una nuova primavera e dissolvere questo inverno demografico, ricreando condizioni affinché possa rifiorire in tutti la speranza nel futuro.

Guardando negli occhi i miei figli mi rendo conto che la vita ha una forza straordinaria. Per questo abbiamo il compito educativo, prima ancora che politico, di far conoscere a tutti la meravigliosa esperienza di trasmettere la vita.

Ottavia Soncini – Consigliera regionale Pd, Presidente della Commissione Politiche per la salute e Politiche sociali

Siamo tutte Giulia | Il mio intervento in aula in ricordo di Giulia Cecchettin

Grazie, presidente. Ci riuniamo oggi, in questa giornata particolarmente dolorosa, di lutto per Giulia e tutte le donne vittime di violenza. Ringrazio l’assessora Lori per aver illustrato ciò che la Regione fa. Ci tengo davvero a ringraziare la consigliera Mori per la perseveranza, la competenza, la passione, il modo formato con cui in questi anni ha condotto la battaglia per i diritti per le donne in questa Regione.

Come Regione Emilia-Romagna lavoriamo da oltre vent’anni sulle tematiche del contrasto alla violenza di genere, sulle pari opportunità, valorizzando e sostenendo concretamente le buone pratiche dei Centri antiviolenza. Facciamo un lavoro di messa in rete tra istituzione pubblica e istituzione privata, come metodo fondamentale per mettere in campo strategie efficaci contro la violenza di genere e la diffusione di una cultura delle differenze e di contrasto agli stereotipi, rivolto soprattutto alle giovani generazioni.

Il lavoro della Regione si articola sulla base del Piano triennale di contrasto alla violenza di genere, con l’Osservatorio regionale, che consente di indagare il fenomeno da ogni punto di vista, mettendo insieme professionalità e competenze di chi già lavora per dare sostegno alle donne che hanno subìto o continuano a subire violenze.

Poi ci sono le Istituzioni. L’assessora Lori, giustamente, ha dato i dati, ricordando che dietro ogni numero c’è una persona, c’è una storia, c’è un dramma di una donna, dei suoi figli, dei familiari.

I centri antiviolenza sul territorio regionale sono 23, le case rifugio 55, i centri per uomini autori di violenza 14. Dal 2020 abbiamo investito oltre 20 milioni di euro sulla promozione delle pari opportunità, sul fondo imprenditoria femminile, sul reddito di libertà, sul sostegno dei centri.

Nel 2022, le donne che hanno contattato un centro antiviolenza per ricevere attività di sostegno e consulenza sono state 4.990. I pernottamenti totali nelle case rifugio si aggirano intorno ai 60.400. Gli uomini in percorso presso il centro uomini maltrattanti sono stati 713. I dati sui tipi di violenze subite ci dicono che il 90% sono sul piano psicologico, il 65% sul piano fisico e 42% sono violenze di tipo economico.

Il femminicidio rappresenta un reato che si consuma principalmente nelle relazioni intime. Ho letto la relazione d’inchiesta della Commissione sui femminicidi in Italia, riferita agli 2017 e 2018, e mi ha colpito particolarmente, perché tutti i femminicidi esaminati si connotano per due requisiti specifici: l’autore di violenza di genere forma la sua identità su una relazione di dominio, controllo assoluto su una donna, unico tipo di relazione che conosce, e la violenza nei confronti di questa gli serve a riaffermare e confermare il suo potere. La donna che decide di interrompere quella relazione viene uccisa perché, in molti casi, sottraendosi ai doveri di ruolo, non solo viola una regola sociale e culturale, ma rende l’uomo che glielo ha permesso un perdente agli occhi della collettività. La sanzione diventa la morte. Questo dice la relazione della Commissione dei femminicidi in Italia.

Quindi, le donne sono uccise non perché in sé fragili o vulnerabili, ma perché diventano tali nella sola relazione di dominio, o al contrario, nella gran parte dei casi, con veri e propri atti di coraggio, si ribellano all’intento dei loro aggressori di sfruttarle, dominarle, possederle e controllarle. Per quanto riguarda la distribuzione, non emergono particolari differenze né a livello territoriale, né rispetto alle caratteristiche di autore e vittime. Le età delle vittime, tuttavia, variano leggermente, di più di quelle degli autori. Le vittime estremamente giovani e anziane sono più di quanti siano gli autori appartenenti a questa categoria di età, e ciò denota una condizione di fragilità in cui in una parte dei casi si trova la donna rispetto all’uomo. Una donna anziana o giovanissima, quindi potenzialmente in condizione tendenzialmente di maggiore debolezza fisica, ha una probabilità di essere uccisa più elevata di quanto lo sia quella che un uomo anziano o giovanissimo uccida.

La distribuzione è simile per autore e vittime anche per quanto riguarda la cittadinanza: il 78 per cento delle vittime e il 78,1 per cento degli autori ha cittadinanza italiana, il 21 per cento delle vittime e il 18,8 per cento degli autori ha cittadinanza straniera. I femminicidi avvengono tendenzialmente all’interno della stessa comunità di appartenenza. L’83,9 per cento dei femminicidi viene commesso da un autore che ha la stessa nazionalità della vittima.

Il livello di mancate risposte sulle condizioni occupazionali è molto più alto per le donne, arriva a un quarto del totale, ciò avviene soprattutto nelle classi di età più avanzate.

La relazione che intercorre, invece, tra la donna vittima e l’autore al momento del femminicidio dice che più della metà delle donne vittime di femminicidio sono uccise dal proprio partner, che nel 77,9 per cento dei casi coabitava con la donna. Nel 12,7 per cento sono uccise, invece, dall’ex partner. Dunque, il femminicidio si conferma come un atto di volontà di dominio e di possesso dell’uomo sulla donna, al di là della possibile volontà di indipendenza e di rottura dell’unione della donna stessa.

Un altro dato: solo il 15 per cento delle donne aveva sporto denuncia o querela per precedenti violenze o altri reati compiuti dall’autore ai propri danni. Le denunce e le querele, quindi, avvengono in pochi casi, ma spesso quando avvengono si susseguono.

C’è sicuramente il tema del patriarcato. “C’è ancora domani”, straordinario film della Cortellesi, ci ha ricordato un passaggio storico per la nostra Repubblica nel percorso di emancipazione delle donne da una cultura che le aveva viste per secoli soccombere di fronte al dominio dell’uomo o del padre. Il 2 e 3 giugno 1946 oltre dodici milioni di donne si sono recate alle urne per contribuire alla scelta tra monarchia e repubblica. Purtroppo occorre prendere atto che, a settantasette anni di distanza da quei giorni, le donne si trovano ancora a doversi battere non solo per il lavoro e i diritti, ma addirittura per la loro stessa vita. Nonostante decenni di battaglie femministe, l’abolizione del delitto d’onore e del matrimonio riparatore nel 1981, il riconoscimento dello stupro come reato contro la persona e non contro la morale nel 1996, la visione del corpo femminile come oggetto da possedere e da sottomettere impregna ancora la cultura del nostro Paese.

Questo fatto, prima ancora che politicamente, è umanamente inaccettabile e su questo – lo dico prima di tutto da donna e da madre – non dovremo mai smettere di impegnarci e lottare senza sosta. Ma penso anche e soprattutto che ci sia una colossale necessità di un investimento culturale capace di rigenerare condizioni strutturali di fiducia nel futuro e di ascolto verso le nuove generazioni. Servirebbero davvero ore di educazione sociale, da quella civica a quella affettiva, partendo dalle famiglie e passando da tutte le scuole. Non mi pare più rinviabile.

I dati del disturbo psicologico, anche quelli regionali, dicono dei ragazzi in solitudine di fronte ai messaggi del web e dei social. Questi dati sono impressionanti. Assumere politicamente questo impegno ‒ lo abbiamo fatto in diverse Commissioni – è fondamentale. Un ragazzo, un bimbo oggi rischia di venire cresciuto da solo nel mare del web, nel deserto del web, dove gli adulti non ci sono e non ci sono stati. C’è un problema di analfabetismo affettivo. Il senso del corpo e della vita viene meno a partire dai primi anni di vita. Il web, i social non possono essere agenzie educative. Non si può vivere la solitudine davanti a web e social.

Noi adulti dobbiamo essere vicini ai bambini e ai ragazzi. Leggete questo dato: i bambini dai 6 ai 10 anni che usano internet tre mesi prima della rilevazione sono l’83,3 per cento; i ragazzi dagli 11 ai 14 anni che usano internet il 96,4 per cento. Scambiano messaggi, guardano video, videgiocano, guardano video a pagamento, utilizzano e-mail, frequentano i social, leggono notizie. Rischiano di essere bambini che si crescono da soli.

Mi chiedo: cosa fanno per ore davvero i bambini e i ragazzi su internet? Che contenuti guardano sui social? Che valori scambiano? Non è sufficiente pensare che, se sono in silenzio e sono tranquilli, va tutto bene. Insomma, penso ci sia un disagio psicologico e affettivo che interpella noi, interpella il mondo adulto.

Il tema del femminicidio affonda le radici nel deserto affettivo che c’è, che viene dai primi anni di vita, in cui i bambini sono stati soli. È un tema certamente complesso, che richiede un lavoro di analisi. Dove costruiscono la loro affettività? Dove imparano a gestire corpo, emozioni, pulsioni, sentimenti? Che modelli hanno i giovani di oggi? Guardo alla guerra di oggi, l’uso delle tecnologie manipolative delle immagini per indurre la cancellazione di emozioni e sentimenti umanissimi di fronte al male inflitto alla natura umana, sia nell’aggressione della Russia verso l’Ucraina, sia nell’aggressione terroristica di Hamas rispetto a Israele, sia nella risposta di Israele rispetto a Gaza. Non possiamo ignorare l’atroce e persistente fenomeno degli stupri di guerra. Lo stupro utilizzato come arma di terrore, con l’obiettivo di danneggiare il nemico, passando attraverso l’annientamento del corpo della donna. La neutralizzazione del corpo femminile.

Di fronte a queste deduzioni del dopoguerra, se è vero che non abbiamo la forza per determinare la fine di questi avvenimenti, abbiamo la responsabilità di occuparci delle conseguenze che quegli avvenimenti hanno già determinato nel modo di pensare della nostra società, nel modo di pensare dei nostri giovani. Educazione, quindi, ai valori, che sono gli stessi che servono a contrastare la malapianta delle discriminazioni verso chi è diverso, della violenza di genere, in particolare i drammatici femminicidi, a cui non dobbiamo abituarci mai.

Bisogna lavorare sui valori che ruotano intorno ai temi della fratellanza, della sorellanza, della solidarietà e dell’accoglienza. Dietro gli omicidi della violenza di genere, dietro le intolleranze ci sono questi valori e questi discorsi. Serve un’evocazione del senso di responsabilità, che tutti dobbiamo avere.

Mai come in questa fase della storia siamo di fronte alla crisi, soprattutto nella fase adolescenziale, al disorientamento, alla mancanza di senso, alla mancanza di gusto della vita, di prospettiva, di idea di futuro. C’è una incombente fragilità. Serve una responsabilità del mondo adulto e della politica, perché serve un interesse per gli obiettivi immateriali: la dimensione umana, il valore della persona, la centralità della persona, il rispetto della persona, dell’altro genere, di tutti gli altri.

La salute delle nuove generazioni ci interessa, ci riguarda, vogliamo occuparcene. Se c’è un rispetto della persona per quello che rappresenta dal punto di vista valoriale e della sua consistenza intrinseca, metà della soluzione l’abbiamo trovata. Viviamo nella stagione in cui si sta verificando lo “svuotamento dell’uomo dentro all’uomo”, dell’uomo dentro la persona umana. Il fenomeno di cui stiamo parlando oggi è complesso, è multistrato. Ridurre la complessità è sbagliato. Dunque, ci vuole l’impegno e la responsabilità di comprendere bene prima di agire. Quindi, mentre va avanti l’attività ordinaria della politica – i bilanci, le riforme, le riorganizzazioni – noi continueremo ad occuparci dei fondamentali su cui bisogna prestare attenzione.

Insieme per proteggere i bambini

Oggi ho firmato il documento “Abusi Zero” perché credo fermamente che i bambini abbiano diritto a essere protetti da ogni forma di violenza, abuso e maltrattamento.

Il caso Bibbiano ha avuto un impatto devastante sul sistema di tutela dei minori in Italia. Ha gettato discredito su un lavoro prezioso e delicato, svolto da volontari, famiglie, professionisti che ogni giorno si impegnano per i bambini, la loro salute, la loro crescita.Ho un profondo rispetto per il lavoro della Magistratura, ma la costante strumentalizzazione politica e mediatica di questi ultimi tre anni ha avuto conseguenze molto serie. Le famiglie affidatarie sono diminuite drasticamente, rendendo più difficile trovare un posto sicuro per i bambini che hanno bisogno di essere allontanati temporaneamente dalle loro famiglie di origine. Gli operatori del settore sono esposti a minacce e intimidazioni e molti di loro hanno paura o, peggio, hanno deciso di abbandonare il loro preziosissimo lavoro.

I minori sono persone, non oggetti. Hanno diritto ad essere amati, accolti, educati.

L’affido consente a bambini in difficoltà di crescere in un contesto di relazioni affettive. Non è una sottrazione alla famiglia, ma un percorso di sostegno e cura, per garantire ai minori benessere psico-fisico. Non dovremmo mai dimenticare che i genitori che abusano dei figli e che li maltrattano esistono. Questo va ricordato, perché spesso si mette l’enfasi sui figli “sottratti”, mentre ci sono minori che devono essere protetti. Il nostro compito è fare sì che ciò avvenga nei casi giusti: nessuno dei minori deve essere allontanato ingiustamente dalla sua famiglia e nessuno di loro deve essere lasciato solo all’interno di una famiglia che non riesce a farsi carico della sua piena tutela. L’obiettivo di ogni percorso è il rientro del minore nella sua famiglia. Tutti ci auguriamo sempre che l’affido sia una soluzione estrema e temporanea, un periodo il più breve possibile che permetta di lavorare per ricucire la situazione di fragilità. Ed è quanto già previsto dalle leggi in vigore.

Al termine della scorsa legislatura, la Regione Emilia-Romagna ha prodotto e votato una relazione sul lavoro svolto dalla Commissione speciale di inchiesta sul sistema di tutela dei minori. Più di 200 pagine, frutto di un intenso e serrato percorso di ascolto di oltre settanta persone, in rappresentanza di Enti pubblici, Aziende pubbliche, Magistratura, Autorità garanti, Ordini professionali, assistenti sociali, educatori, avvocati, pediatri, associazioni, volontariato, privato sociale, famiglie, coordinamenti e gruppi anche non formalizzati. Un testo che può servire da guida per chiunque abbia voglia di approfondire questo tema, in modo serio e documentato, senza lasciarsi trasportare dagli slogan e dalle semplificazioni. In particolare, le conclusioni di questa relazione indicano una ventina di raccomandazioni utili a migliorare dal punto di vista normativo e di funzionamento il sistema degli affidi minorili e dei servizi sociali. Un lavoro svolto nell’interesse esclusivo del bene più prezioso: i bambini.

Ringrazio i promotori del documento “Abusi Zero”, condiviso da oltre 700 cittadini, operatori, volontari, famiglie, professionisti. Firmando l’appello possiamo dare un segnale forte di sostegno al sistema di protezione dei minori e di impegno per la tutela dei diritti dei bambini.

“Manovra. Il Governo Meloni abbandona anziani, persone con disabilità e caregiver”

I consiglieri regionali reggiani Amico, Bondavalli, Costa, Mori e Soncini raccolgono l’appello delle associazioni e annunciano maggiori risorse al Fondo Regionale Non Autosufficienza

Il Governo Meloni abbandona anziani, persone con disabilità e caregiver. La legge di Bilancio presentata dal Governo non prevede un euro per la riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti. Si tratta di 3,8 milioni di persone, a cui bisogna sommare quasi 7 milioni di caregiver che prestano loro assistenza. Una parte enorme del nostro sistema di welfare che viene ignorato, penalizzando gravemente milioni di famiglie già oggi in difficoltà.

A ciò si aggiunge l’ignobile taglio di 350 milioni del Fondo Nazionale per la Disabilità. Un altro colpo mortale che viene inflitto al nostro welfare, ancora più odioso se si pensa che il fondo è rivolto alle persone più deboli e vulnerabili.

La Manovra di Bilancio lascerà aperte molte questioni, il Governo non sta gestendo in maniera efficace i conti e le tasche degli italiani sono sempre più vuote. Tagliare così pesantemente sulla disabilità, poi, risulta ancora più intollerabile. Le associazioni, come le Fondazioni per il Dopo di Noi di Reggio Emilia, alzano giustamente la voce e raccogliamo il loro appello.

La nostra Regione Emilia-Romagna ha una visione diametralmente opposta rispetto a quella di chi governa il Paese e detiene la maggioranza in Parlamento. Il Fondo Regionale per la Non autosufficienza, per la quantità di risorse impiegate, la rete dei servizi, delle professionalità e delle competenze che mette in campo, definisce un’esperienza capace di distinguersi nel panorama nazionale, di cui rappresenta un unicum. Quest’anno faremo ancora di più, mettendo a bilancio ulteriori 28 milioni di euro rispetto all’anno precedente arrivando 543 milioni di euro.

Mentre la destra fa cassa sulle persone con disabilità, noi crediamo fermamente nell’idea che una società inclusiva, che sostiene i più fragili e i bisognosi, sia una società più forte, eguale, democratica.

Federico Amico

Stefania Bondavalli

Andrea Costa

Roberta Mori

Ottavia Soncini

Tutela dei minori, i consiglieri regionali reggiani di maggioranza netti contro le proposte delle opposizioni

Amico, Bondavalli, Costa, Mori e Soncini: “L’interesse di bambini e adolescenti viene prima di tutto. L’ideologia non prevale sul benessere delle persone in situazione di fragilità”

«I due progetti di legge fotocopia sul cosiddetto “allontanamento zero” che in Emilia-Romagna Lega e Fratelli d’Italia hanno presentato per -a loro dire- la tutela dei minori e delle famiglie, è profondamente ideologico e addirittura pericoloso. In Piemonte, dove è già stato approvato un provvedimento simile, questo tipo di approccio ha trovato la netta contrarietà di psicologi, giuristi e soprattutto delle ragazze e ragazzi che hanno vissuto direttamente l’esperienza dell’affido.»

I consiglieri regionali reggiani di maggioranza, Federico Amico, Stefania Bondavalli, Andrea Costa, Roberta Mori e Ottavia Soncini stigmatizzano le proposte delle opposizioni in tema di minori e affido.

«L’intento della destra – spiegano – non è quello di tutelare i diritti prioritari di minori che provengono da famiglie temporaneamente incapaci di prendersi cura di loro, ma quello di preservare esclusivamente e ad ogni costo il potere dei genitori, anche quando sono negligenti, violenti o abusanti.»

«È sbagliato l’approccio – dichiarano netti – perché le comunità devono farsi carico di più e non di meno del benessere dei minori, della loro salute e integrità. Per riuscirci, bisogna sicuramente supportare e accompagnare le famiglie, ma occorre una presa in carico oggettiva che parta dalla valutazione caso per caso delle situazioni specifiche di disagio o maltrattamento, senza superficiali generalizzazioni.

«In Emilia-Romagna – specificano i consiglieri reggiani di maggioranza – i servizi territoriali sociali e sociosanitari lavorano sulla base di linee guida solide che permettono questa valutazione personalizzata, da cui deriva l’intervento di tutela o sostegno più appropriato e, ove occorra, dell’affidamento temporaneo fuori dalla famiglia. Negare a priori, come da proposta della destra, l’allontanamento del minore pur quando necessario al suo benessere, prevedere l’affidamento nella rete familiare fino al quarto grado di parentela senza che tale affido dipenda da una valutazione specifica, non è altro che una forzatura della realtà e dei bisogni anche affettivi dei bambini e ragazzi».

Insomma, secondo Amico, Bondavalli, Costa, Mori e Soncini, è evidente il tentativo della destra di delegittimare le professionalità, i servizi e il sistema regionale di accoglienza e sostegno delle persone, in nome di una primazia tutta ideologica della famiglia naturale e dei legami di sangue. «L’obiettivo di ogni percorso è il rientro del minore nella sua famiglia. Tutti – sottolineano – ci auguriamo sempre che l’affido sia una soluzione estrema e temporanea, un periodo il più breve possibile che permetta di lavorare per ricucire la situazione di fragilità. Ed è quanto già previsto dalle leggi in vigore».

La domanda vera da porsi in ogni situazione è quale sia l’interesse dei bambini, bambine, adolescenti coinvolti, a maggior ragione in casi di violenza.

«Il nostro impegno – affermano i consiglieri reggiani – è sulla prevenzione e per un investimento serio sulla rete del welfare territoriale a supporto delle famiglie, per far crescere un sistema di accoglienza per i minori che integri gli aspetti sociali con quelli educativi e della salute. Le destre al governo del Paese, dunque, invece che lanciare “allarmi allontanamenti”, sospetti e proposte fuori dalla realtà, si preoccupino di sostenere il welfare universalistico e di migliorare l’apporto competente di professionisti e servizi, di associazioni, comunità e genitori affidatari che si occupano e pre-occupano ogni giorno dei bisogni espressi e urgenti di famiglie e minori in difficoltà.»

Autismo, in Commissione Sanità regionale gli impegni per rafforzare i percorsi di diagnosi e presa in carico

I consiglieri reggiani di maggioranza: “Nel 2022, 91 nuove diagnosi in provincia di Reggio Emilia”

Con il nuovo Programma Regionale Integrato Autismo 2023-2027 (PRIA), la Regione punta a diagnosi sempre più tempestive e progetti personalizzati di cura. “Un obiettivo che va raggiunto grazie all’integrazione dei servizi offerti sul piano sanitario, scolastico e di welfare. Negli ultimi anni in Emilia-Romagna stiamo facendo progressi importanti, in un campo che sicuramente presenta sfide quotidiane e in cui il margine di miglioramento è sempre evidente” sottolineano i consiglieri Ottavia Soncini, Federico Amico, Stefania Bondavalli, Andrea Costa e Roberta Mori a margine della seduta della commissione Sanità durante la quale si è votata una risoluzione proposta da tutti i gruppi di maggioranza che intende integrare gli obiettivi del nuovo Pria, di recente approvato dalla Giunta.

“Nella nostra provincia, nel 2022, sono state 91 le nuove diagnosi. Di queste, oltre la metà nei primi tre anni di vita. Un segno di come sul piano delle diagnosi, si stia lavorando per agire tempestivamente”.

Per i casi in età evolutiva la valutazione diagnostica avviene su richiesta del pediatra di libera scelta o del medico di medicina generale. In alternativa, su richiesta del referente clinico della NPIA che segue il minore seguito per altre problematiche. Viene data una prima risposta alla richiesta del pediatra o del medico entro 30 giorni e, come da indicazione PRIA, di effettuare la precisazione della diagnosi clinica entro tre mesi dall’invio ai servizi specialistici per i disturbi dello spettro autistico.

“La valutazione diagnostica avviene in media entro tre mesi dalla richiesta, con maggiore tempestività per i casi 0-3 anni. – sottolineano i consiglieri che richiamano gli impegni approvati in Commissione – Dal 2019 si è intensificato il raccordo già esistente tra i pediatri di libera scelta e i servizi di NPIA. Noi chiediamo che si prosegua con determinazione su questa strada, intensificando anche i rapporti tra i servizi sanitari e quelli educativi e scolastici. Prima viene effettuata la diagnosi, più efficaci sono le terapie e i percorsi personalizzati da individuare. Anche per questo, come consiglieri regionali di maggioranza, con la risoluzione che abbiamo proposto e approvato, impegniamo la Giunta ad intraprendere ogni azione utile, anche nell’interlocuzione con il legislatore statale e il Governo, per garantire una dotazione di organico adeguata, sia dal punto di vista numerico che delle professionalità e competenze necessarie, sia nelle neuropsichiatrie infantili che nei dipartimenti di salute mentale, per favorire la diagnosi precoce e la tempestiva presa in carico, eliminando i limiti al tetto di spesa per l’assunzione del personale. Molte delle nostre richieste sono il frutto del costante confronto con le famiglie e le associazioni emiliano-romagnole, il cui feedback prezioso in merito alle criticità e opportunità è un elemento fondamentale per l’organizzazione e gestione dei servizi per i disturbi dello spettro autistico”.

Indagine sui giovani emiliano-romagnoli: il 77,4% soffre d’ansia associata alla scuola. “Diamo risposte rafforzando le nostre politiche giovanili ed educative”

Giovani al centro di una Commissione congiunta Sanità, Scuola e Parità in Assemblea Legislativa

Il terzo report sugli adolescenti emiliano-romagnoli “Tra presente e futuro. Essere adolescenti in Emilia-Romagna nel 2022”, che ha coinvolto oltre 15mila studenti emiliano-romagnoli tra gli 11 e i 19 anni, di cui rispettivamente 2.870 pari al 19,1% nella Provincia di Bologna e 1.539 pari al 10,2% nella Provincia di Reggio Emilia, è stato presentato in una Commissione congiunta Scuola, Sanità e Parità. I dati, illustrati dall’Assessore al Welfare Igor Taruffi, secondo i Presidenti delle Commissioni assembleari Francesca Marchetti, Ottavia Soncini e Federico Amico: “offrono una fotografia reale e concreta che dà voce agli adolescenti e che ci invita a riflettere su quelli che sono campanelli d’allarme a cui dare risposte rafforzando le nostre politiche giovanili ed educative”.

Tra i dati più rilevanti il 77,4% degli intervistati indica l’ansia associata alla scuola, seguita dall’insicurezza (48,9%) e dalla tristezza (33,3%). Il 68,2% degli adolescenti ritiene che lo stress influisce sulla loro salute, mentre il 27,2% dei giovani richiede un supporto psicologico a causa di questo disagio. Nonostante più della metà dei ragazzi trascorra oltre 4 ore al giorno davanti ad uno schermo, il 45% degli intervistati pratica sport per più di 4 ore alla settimana, rimane invece la preoccupazione per il 26% di giovani che non pratica alcuna attività sportiva.

“In questi anni i nostri ragazzi e ragazze hanno dovuto affrontare sfide complesse, dalle quali si sono acuite difficoltà già esistenti e sono emersi anche nuovi bisogni – spiegano –. Questo momento di confronto tra le nostre Commissioni è fortemente voluto, perché conferma la necessità di lavorare insieme anche al supporto della Garante dell’Infanzia e dell’Adolescenza, dell’Ufficio scolastico regionale e dei territori per rispondere ai giovani che chiedono aiuto e che vogliono essere ascoltati, offrendo loro strumenti utili per supportarli nel loro percorso di vita, che va riconosciuto, valorizzato e sostenuto attraverso una nuova alleanza educativa e di comunità per affrontare in modo trasversale i loro bisogni”.

Secondo Marchetti, Soncini e Amico è proprio da questa analisi che bisogna partire “per migliorare la qualità della vita dei nostri adolescenti e per evitare povertà educativa e ritiro sociale. Senza un’attenta mappatura di quanto ci circonda non possiamo attuare politiche adeguate ed è per questo che è un bene che questa indagine sia arrivata alla terza edizione e rappresenta un prezioso punto per migliorare la comunità emiliano-romagnola a partire dal rapporto con il mondo scolastico”.

In questo studio colpisce come i sentimenti negativi siano presenti in modo allarmante già fra i più piccoli e crescono con l’età. “La ricerca – concludono –  invita pertanto gli operatori, gli insegnanti e gli adulti in generale a prendere atto che è urgente passare dalla conoscenza all’azione ed evidenzia diversi aspetti che possono essere trasformati in piste di lavoro possibili da tutti coloro che si occupano di nuove generazioni per una pianificazione di azioni e interventi, dentro e fuori la scuola, in un’ottica di sistema, dal contrasto alla povertà educativa al sostegno alla didattica, da politiche attive per il lavoro a nuovi stimoli e opportunità nel mondo sportivo. Ribadiamo e rilanciamo il nostro impegno per offrire alle ragazze e ai ragazzi emiliano-romagnoli migliori opportunità per costruire il loro futuro, ripartendo dalle esigenze che loro stessi ci indicano come prioritarie”.

Disturbi alimentari, il punto in Regione

Commissioni Salute e Scuola congiunte per garantire supporto agli oltre 2000 assistiti in Emilia-Romagna ogni anno

Quella dei disturbi del comportamento alimentare è una piaga che continua a crescere e colpisce sempre più adolescenti e preadolescenti. Sono oltre 2.000 le persone che annualmente sono prese in carico in Emilia-Romagna per anoressia, bulimia, alimentazione incontrollata e altri disturbi. La stragrande maggioranza, oltre il 90%, sono ragazze e donne e la fascia di età coinvolta si abbassa fino a quella pediatrica.

“Ne abbiamo parlato in Commissione Sanità e Scuola dove appena qualche mese fa avevamo seguito l’informativa sul “Programma regionale di contrasto ai Disturbi dell’alimentazione e della nutrizione: dati epidemiologici, economici e progetti regionali – riportano la presidente Ottavia Soncini e Francesca Marchetti e aggiungono come – Nel 2022 la Regione Emilia-Romagna aveva stanziato 820 mila euro, ripartite tra le aziende sanitarie del territorio, per sostenere il programma di assistenza ai giovani tra i 12 e i 25 anni con disturbi del comportamento alimentare e per supportarne l’assistenza residenziale nelle strutture accreditate “in Volo” di Parma e “residenza Gruber” di Bologna”.

La Commissione, in seduta congiunta, ha approvato un documento unanime che pone il tema di individuare linee di intervento comuni e uniformi tra tutte le Aziende sanitarie regionali. Il modello organizzativo attuale proposto dalla Regione Emilia-Romagna è quello dei Programmi PDTA (Percorso diagnostico terapeutico assistenziale) delle Aziende Usl e delle Aziende Ospedaliero-Universitarie, in una logica di rete tra servizi e con la persona al centro della cura. Il modello prevede in ogni territorio provinciale un’équipe interdisciplinare come nucleo del sistema di cura, responsabile della continuità e coerenza dei trattamenti e dei rapporti con i centri specializzati e con le strutture della rete dei servizi sanitari. Un modello che integra la componente pubblica e quella privata accreditata.

“Il lavoro di équipe tra i servizi medici e clinici, l’assistito e la sua cerchia familiare, scolastica, sociale per individuare le terapie e i trattamenti adeguati e investire nella riabilitazione della persona è fondamentale” sottolineano le dem. “A medici di base e pediatri di libera scelta siano garantiti adeguati corsi di aggiornamento in merito ai disturbi del comportamento alimentare e scuole, associazioni e gruppi di mutuo e auto aiuto vanno supportati nei servizi che consentono di individuare con tempestività problematiche emergenti, di trattare casi conclamati, sostenere le cure e il percorso di riabilitazione, supportare le famiglie degli assistiti”.