Il 2021 è il tempo del coraggio

Articolo pubblicato sull’edizione reggiana del Resto del Carlino del 3 gennaio 2021

Il 2020 è stato un anno durissimo in cui le nostre certezze si sono dissolte davanti ad una pandemia che ha creato paure, fragilità e lacerazioni profonde nelle nostre comunità. Il pensiero va alle persone che se ne sono andate sole e senza un ultimo saluto, ai sogni di tanti che oggi rischiano di non avere futuro, alle ragazze e ai ragazzi che hanno perso relazioni e conoscenza, alle tante, troppe, disuguaglianze che si sono allargate, alle solitudini delle persone fragili. Ma il 2020 è stato anche l’anno in cui ci siamo riscoperti dentro una “comunità di destino”, un legame fatto di consapevolezze, solidarietà e responsabilità che ci ha unito, tutti. Dobbiamo, però, essere sinceri: il 2021 sarà un anno altrettanto difficile. Avremo bisogno di sguardi ampi per rimettere in moto le energie sociali ed economiche del nostro territorio. Il nuovo Patto per il Lavoro e per il Clima dell’Emilia-Romagna posiziona la protezione delle persone, la centralità della fragilità e la lotta alle diseguaglianze come elementi indispensabili della crescita economica. La pandemia ci ha mostrato cosa significhi in termini di garanzie per la salute, una sanità pubblica forte ed un sistema universalistico. Sistema su cui continueremo ad investire con un piano da 9 miliardi, 600 milioni di euro in più rispetto all’anno precedente che affermano la necessità di un sistema sanitario complessivo in grado di rafforzare attraverso la diffusione della medicina territoriale, la dimensione della prossimità. Servirà, soprattutto, una visione di welfare basato sulle comunità, sulle relazioni, sui legami sociali, sulla responsabilità e sul protagonismo di ognuno di noi. Il nostro impegno dovrà essere quello di non lasciare nessuno da solo nella fatica del cambiamento. Insomma, è il tempo del coraggio.

Ottavia Soncini

Intervista su VerdEtà n° 77 | Bimestrale | Dicembre 2020

Care/i pensionate/i  abbiamo chiesto alla Presidente della IV Commissione regionale, Dr.ssa Ottavia Soncini di rispondere ad alcune domande sulla situazione sociale della nostra Regione e la ringraziamo per aver accolto il nostro invito. Gentile Presidente, l’Emilia-Romagna è impegnata a far fronte ai gravi ed inediti problemi che la pandemia pone anche nella nostra Regione, le chiediamo cosa ha discusso la sua Commissione in questi mesi.

Seppur in un tempo complicato, la Commissione ha sempre lavorato a pieno regime. L’emergenza Covid è stato il tema più affrontato, senza però perdere di vista la gestione dell’intero sistema sanitario pubblico regionale. L’Assessore alla salute Raffaele Donini ci ha reso partecipi di puntuali momenti di aggiornamento sulla pandemia. Con esperti abbiamo approfondito le terapie di cura del Covid-19 e la correlazione fra inquinamento e diffusione del virus. Infine, abbiamo accolto con parere positivo l’ulteriore stanziamento della Conferenza Stato-Regioni per la rete ospedaliera: 20 milioni per l’ospedale di Piacenza e 1 milione per l’hospice di Modena. Sul lato sociale, ci siamo occupati del Fondo Sociale Regionale, di un aggiornamento in materia di demenza ed Alzherimer, e del Fondo Regionale per la Non Autosufficienza.

Il Fondo Regionale per la Non Autosufficienza è uno degli strumenti a cui guardiamo con attenzione e lo abbiamo sempre apprezzato per la sua entità, come si sviluppa il Fondo?

Il fondo è nato con l’accordo di tutte le parti sociale per garantire un modello alto di servizi e permettere alle famiglie di pagare meno per la partecipazione alle prestazioni. Con l’accreditamento si è creata una rete a “gradini” rispetto all’intensità assistenziale per offrire il servizio più appropriato. L’emergenza ha messo in luce che la nostra rete è profondamente cambiata. Le risorse che sono nel FRNA riguardano persone anziane e diversamente abili, ma c’è anche un’altra questione: residenzialità o domiciliarità? Va fatto un ragionamento partendo da un tema di flessibilità, non è facile ma è la sfida di oggi. Infine, dopo la legge della scorsa legislatura, credo sia arrivato il momento rispetto ai Caregiver non solo di definirne la figura, ma anche le risorse per aiutare le famiglie.

Come nella prima ondata, oggi le strutture residenziali per anziani sono tra i luoghi più colpiti dall’epidemia. Qual è la situazione?

Sono stati fatti interventi importanti nei mesi scorsi per mettere in sicurezza le strutture e per garantire una presa in carico precoce dei pazienti Covid. Il rischio di focolai si è molto ridotto, anche grazie allo straordinario lavoro dei medici e di tutto il personale che opera nelle strutture e che voglio ringraziare. Umanamente stanno attraversando un periodo difficilissimo, con turni pesanti e condizioni di lavoro dure. Ciò non toglie che le persone anziane rimangano quelle a maggior rischio di mortalità per la malattia e dunque quelle che vanno più protette. C’è un altro aspetto drammatico: abbiamo dovuto limitare le visite dei famigliari nelle strutture esponendo tante persone all’esperienza dolorosa dell’isolamento e della solitudine. Quando l’epidemia si affievolirà, credo sia necessaria una riflessione sul sistema socio-assistenziale delle strutture per anziani.

Cosa intende?

Dovremo costruire per il futuro forme più leggere di residenzialità: appartamenti e condomini protetti e accessibili con spazi comuni, co-housing e maggiori servizi di assistenza domiciliare. Vorrei aggiungere altri due aspetti: telemedicina e domotica. La casa dell’anziano va resa accessibile per essere messa in contatto con i servizi, ma penso anche all’educazione informatica per permettere di accedere in modo autonomo ai servizi. Sarebbe però utopistico affermare di poter fare a meno dei servizi residenziali: di residenzialità c’è ancora molto bisogno per rispondere alle persone con elevate esigenze sanitarie. Le strutture devono essere luoghi di cura e di vita e somigliare il più possibile a soluzioni familiari per i nostri anziani non-autosufficienti.

Quando finirà l’emergenza da Covid 19, ci troveremo in una situazione certamente diversa da prima e richiederà la ricostruzione e la riorganizzazione del Welfare regionale, come pensa potremo affrontare questa nuova realtà.

Nel Welfare del futuro servirà sempre di più il protagonismo della comunità. La politica deve provvedere e proteggere  Mai come in questo momento il tema della salute deve essere condiviso. Non si tratta solo di prestazioni sociali e sanitarie erogate e finanziate dallo Stato e dalle Regioni, ma di stili di vita e comportamenti responsabili dei singoli. Persone che non sono solo beneficiari di interventi, ma sono parte di una comunità che ha uno sguardo di cura multidirezionale. La comunità locale sarà l’attore principale nel Welfare del futuro. Le sfide del futuro si vincono facendo comunità.

“La Regione destina 450 milioni di risorse proprie per la non autosufficienza; dallo Stato altri 55 milioni e mezzo”

Via libera dalla Commissione Politiche per la Salute e sociali alla proposta della Giunta regionale per la programmazione e ripartizione delle risorse destinate per il 2020 alla non autosufficienza.

“Supera il mezzo miliardo di euro la somma delle risorse regionali e nazionali destinate a persone anziane e persone con disabilità per l’anno in corso. – riporta Ottavia Soncini, Presidente della commissione regionale, che specifica – Dal fondo nazionale per la non autosufficienza arrivano 55,5 milioni, da quello regionale ne abbiamo ben 450. Cifre che ci consentono un alto livello sia in termini quantitativi che qualitativi della rete dei servizi realizzati in Emilia-Romagna che però, risulta evidente, sono in evoluzione per rispondere alle esigenze emergenti della popolazione”.

“L’aumento delle aspettative di vita, infatti, richiede una sempre maggiore integrazione tra l’offerta sanitaria, socioassistenziale e sociale spingendo verso una personalizzazione dell’intervento sulla base delle specifiche esigenze. Sebbene il nostro fondo regionale risulti tra i più alti a livello nazionale, non è escluso che ci sia successivamente bisogno di incrementarlo per consolidare i servizi esistenti e svilupparne dei nuovi a favore della domiciliarità. – è la riflessione della consigliera regionale Pd – Penso anche a un potenziamento del co-housing e dell’abitare vicino a casa e vicino ai propri cari, nel proprio ambiente domestico sviluppando servizi a diversa intensità erogati sul territorio per favorire la prossimità al nucleo familiare”.

“Rispetto alle persone con disabilità sostengo poi con forza che serva un’attenzione specifica per favorirne l’accesso al mondo del lavoro e l’inclusione sociale con percorsi personalizzati per rafforzare i collocamenti mirati, per agevolare gli spostamenti casa-lavoro, gli adattamenti nei luoghi di lavoro e il maggior grado di autonomia abitativa” conclude Soncini.

“Aumentare il fondo regionale per la non autosufficienza e garantire qualità ed efficienza della rete delle Cra consolidando i servizi esistenti e aumentando la sicurezza”

Nel pieno della seconda ondata dei contagi da Covid-19, che con preoccupazione investe tante residenze per anziani e non autosufficienti anche nella nostra Regione, l’Assemblea Legislativa regionale ha approvato all’unanimità una risoluzione presentata dalla Presidente della Commissione Sanità, la consigliera Pd Ottavia Soncini, e dalla collega Francesca Maletti. Il documento, appoggiato da tutta la maggioranza, chiede che la Regione dia maggiore sostegno alle Case Residenza, considerate le molte difficoltà che stanno fronteggiando.

“Le residenze per persone anziane e non autosufficienti hanno visto un calo delle entrate e al contempo hanno dovuto fare fronte a notevoli spese per garantire più alti livelli di sicurezza e controllo sulla diffusione del contagio da coronavirus. Hanno avuto inoltre difficoltà a recuperare personale formato” premettono Soncini e Maletti.

“Dovremo costruire per il futuro – sottolineano le consigliere regionali Pd – forme più leggere di residenzialità: appartamenti e condomini protetti e accessibili con spazi comuni, co-housing e maggiori servizi di assistenza domiciliare. Sarebbe però utopistico affermare di poter fare a meno dei servizi residenziali: di residenzialità c’è ancora molto bisogno per rispondere alle persone con elevati bisogni sanitari”

Il calo demografico, le caratteristiche della popolazione anziana, con bisogni assistenziali e sociosanitari sempre più elevati, e la composizione e struttura delle famiglie che caratterizzano l’attualità ce lo impongono. Le Cra devono essere luoghi di cure e di vita e somigliare il più possibile a soluzioni familiari per i nostri anziani non-autosufficienti.

“Il documento, e siamo soddisfatte che abbia trovato il consenso di tutto il Consiglio regionale, pone l’accento sul fatto che la realtà è molto composita. – spiegano Soncini e Maletti – Ci sono Cra a gestione comunale e Cra gestite da Asp, da cooperative sociali, da privati, da fondazioni, da enti religiosi. Impegniamo la Giunta a confermare tutte le misure di prevenzione anti-Covid già messe in campo nelle strutture sociosanitarie, a proseguire in tutte le azioni di sostegno finanziario intraprese quali il sostegno alle spese per l’acquisto di DPI e dei costi di sanificazione, alla remunerazione sia per i gestori pubblici che privati della quota sanitaria per i posti non utilizzati. Chiediamo infine di valutare di aumentare le risorse del Fondo regionale per la non autosufficienza anche se è già tra i più alti a livello nazionale, per consolidare i servizi esistenti, adeguandoli ai maggiori livelli di sicurezza richiesti”.

«Abbiamo bisogno di stare in comunità. Inventiamo nuovi modi per farlo»

Ho letto con attenzione la lettera del vescovo Massimo Camisasca ai sacerdoti e diaconi della nostra diocesi. Mi ha colpita. Ho ripensato a quei mesi del lockdown nei quali la comunità si è mostrata nella sua indispensabilità proprio nel momento in cui è venuta a mancare.

Tutti noi abbiamo compreso che non siamo individui, ma siamo costituiti da parti che sono le nostre relazioni e che ci è impossibile pensarci singolarmente. L’esperienza di vulnerabilità avuta nel lockdown ci ha ricondotti ad una somiglianza straordinaria nella nostra condizione (paura di ammalarsi, confinamento in casa…) ma non eravamo uguali (differenza di classe, di fragilità, di provenienza geografica). Eravamo simili nella vulnerabilità. E la risposta a quella vulnerabilità non poteva che essere comune. “Nessuno si salva da solo” ha detto Papa Francesco. Concretamente non possiamo anche oggi pensarci singolarmente invulnerabili a prezzo della vulnerabilità di qualcun altro.

La risposta alla pandemia o è comunitaria o non è. Dipende dal comportamento che ciascuno di noi ha (gel, mascherina, distanza fisica) rispetto agli altri. Inoltre, ci sono persone più fragili di altre che hanno bisogno di essere sostenute, accompagnate: il volontariato sociale e sanitario, la protezione civile sono state indispensabili. Ricordiamo tutti le canzoni dai balconi, quei balconi che sono diventati surrogati di comunità, da lì abbiamo cantato, abbiamo calato ceste per il cibo e per i farmaci. Qualcuno li ha chiamati “serenata per la democrazia”. Era una impresa troppo grande per essere vissuta da soli e la gestione della emergenza è avvenuta ad emergenza ancora in corso, per questo dovevamo metterci insieme, fare comunità. La vulnerabilità (vulnerabilis- abilis) ci ricorda che tutti siamo potenzialmente soggetti a ferite, questa parola apre alla potenzialità della nostra fragilità e tutto ciò apre alla cura. Pensare a sè come vulnerabili significa pensare a una forma di cura che è più aperta, partecipata. Bene fa il vescovo a cambiare la narrazione, abbiamo bisogno di sentire parole diverse, nuove: relazioni, reciprocità, piacere della comunità come elemento caldo dello stare insieme. Non sappiamo cosa ci aspetta, la politica è insicura dice il vescovo, è vero.

La politica è fatta di uomini. La politica sta ascoltando la comunità tecnica, medica e scientifica che chiede giustamente attenzione, prudenza, responsabilità. Ma siccome la politica deve proteggere e provvedere io mi sento, oggi, di raccogliere le parole del vescovo e di dire che abbiamo bisogno delle nostre comunità, di relazioni, ma soprattutto abbiamo bisogno di stare vicino come cittadini a coloro che rischiano di rimanere ancora di più ai margini: anziani, persone disabili, sofferenti psichici, persone segnate da dipendenze, bambini spesso considerati cittadini di serie B. Inventiamo modi nuovi di vivere il nostro essere comunità e il nostro essere fatti di relazioni. La salute mentale ed emotiva, oltre a quella fisica, alla politica sta a cuore. La speranza non manca perché nella nostra terra siamo pieni di energie e risorse che possono essere alimentate e io so che la politica ha bisogno delle energie e risorse del territorio per affrontare questo momento difficile.

Il mio intervento per “Il Rolino”

Pubblicato il 1 agosto 2020 su “Il Rolino”, periodico mensile di informazione a cura del Circolo Pd di Rolo

Oggi siamo tentati di dimenticare e metterci alle spalle questi ultimi difficili mesi dai quali siamo usciti grazie alla medicina, al distanziamento fisico e alla responsabilità individuale. Nella nostra provincia, nella nostra Regione, abbiamo affrontato la pandemia facendo leva su due grandi oggetti di valore. Il primo, il nostro sistema sanitario universalistico basato su strutture tendenzialmente pubbliche, ci ha consentito di avere uno sguardo di sistema sulla qualità delle prestazioni e sulle cose fatte. Accanto a ciò, la disponibilità e la forza di una grande infrastruttura pubblica che può organizzare il servizio di prevenzione, profilassi, analisi e risposta. Un sistema sanitario che in questi decenni ha investito negli ospedali e nella sanità del territorio. Mi auguro che dopo questa esperienza si sia definitivamente compreso cosa significhi, in termini di garanzie per la salute di una comunità, una sanità pubblica forte ed un sistema universalistico. Il secondo oggetto di valore è quello dei servizi sociali in senso ampio e l’aiuto delle comunità. Abbiamo vissuto un paradosso: le istituzioni hanno chiesto una prova di cittadinanza individuale e nello stesso tempo collettiva. Le persone hanno dovuto responsabilmente confinarsi in casa e contemporaneamente rendersi conto di quanto sia indispensabile la relazione tra le persone. Si è infatti scatenata una gara di solidarietà fatta da volontari della protezione civile, scout Agesci, volontariato sanitario e socio-assistenziale, empori solidali. Il terzo settore, dal volontariato, all’associazionismo di promozione culturale, alla cooperazione sociale costituiscono infrastrutture fondamentali per la coesione sociale della nostra regione e hanno dimostrato di esserci sempre. Questa pandemia ha legato noi tutti in una “comunità di destino”. Eppure, oggi stiamo vivendo un momento particolare nel nostro rapporto con la pandemia. Eravamo convinti che i sacrifici di questi mesi fossero stati sufficienti. Quello che invece appare evidente oggi, è che il virus non si sta fermando a livello mondiale e che dovremo abituarci al prolungamento delle misure di sicurezza sanitarie almeno fino a fine ottobre, all’incertezza per il lavoro, alla distanza da tante persone. È probabile che in alcuni momenti ci faremo prendere dallo scoramento e, in altri, dalla rabbia comprensibile per la perdita di sicurezze sanitarie, sociali, occupazionali. Avremo bisogno di pazienza, generosità e tenacia.  

Il Covid-19 ci ha fatto capire che possiamo migliorare la sanità di eccellenza dell’ Emilia-Romagna. Serve una svolta a favore della sanità del territorio: case della salute, assistenza domiciliare, medicina di gruppo, ospedali di comunità, infermieri di comunità. Credo fortemente che la sanità, oltre a fondarsi sul pilastro ospedaliero, dovrà sempre più fondarsi sul pilastro fatto di assistenza decentralizzata e diffusa sul territorio con le reti e i legami di comunità. La chiave di questo secondo tipo di intervento è la relazione di cura e accompagnamento, la qualità di vita, delle relazioni e la generatività. Un diffuso sistema di servizi di comunità dove ogni cittadino possa ambire a rimanere nel proprio ambiente abitativo, relazionale e culturale, anche quando non è più autosufficiente. Al di là di ogni retorica, insisteremo molto in Emilia-Romagna sull’integrazione territorio-ospedali e socio-sanitaria. Più investiamo sul sociale e più aiutiamo la sanità, più investiamo sulla domiciliarità, sulla presa in carico, sulla prossimità e su percorsi di autonomia più preveniamo le fragilità. 

I fondi europei del Recovery Fund e del MES saranno per noi fondamentali. La maggior parte delle risorse del Recovery fund, chiamato patto generazionale per le prossime generazioni UE, sono trasferimenti sotto forma di contributi diretti. Ora il nostro paese insieme a Regioni e territori deve scrivere un piano per indicare le priorità: dalla lotta al cambiamento climatico, al recupero di posti di lavoro con una attenzione particolare a giovani e donne, alla tassa digitale, alla solidarietà verso i paesi più colpiti dalla Pandemia. I 2 o 3 miliardi di euro che arriverebbero all’Emilia-Romagna attraverso il MES, necessari perché disponibili subito, senza condizionalità se non quella di utilizzarli per la sanità, potrebbero essere impiegati per assumere personale, strutturare gli specializzandi, creare nuovi ospedali e sistemare quelli esistenti, nuove Case della Salute, acquistare tecnologie e macchinari. È il momento di agire e di guardare avanti sfruttando al meglio queste risorse per la sanità ed il welfare della nostra regione. 

Questa crisi è simmetrica perché la pandemia ha colpito tutti i Paesi, ma ha avuto e avrà effetti asimmetrici perché ha indebolito ancora di più le fasce vulnerabili della popolazione: i giovani, le donne, le persone con disabilità, i bambini, le persone anziane. È molto presto per interpretare quello che sta avvenendo, abbiamo bisogno di un silenzio operoso: il silenzio di chi studia e di chi ascolta, il silenzio di chi cerca di conservare il lavoro, il silenzio di chi si adopera perché le scuole riaprano al meglio e perché i bimbi che nascono siano accolti come una ricchezza da tutta la comunità. 

Ottavia Soncini – Presidente della Commissione Politiche per la salute e Politiche sociali della Regione Emilia-Romagna 

Fondo Sociale: dalla Regione quasi 50 milioni ai territori

49,3 milioni di euro per finanziare il fondo regionale per le politiche sociali: un pacchetto di risorse che la Regione Emilia-Romagna destina a Comuni e Unioni di Comuni per garantire il funzionamento dei servizi sociali e sociosanitari, di cui 5,3 milioni verranno destinati alla provincia reggiana.

“Si tratta di risorse importanti – dichiara Soncini – in un momento in cui gli Enti locali sono impegnati in prima linea e il sistema dei servizi sociali è chiamato a fare i conti con vecchi e nuovi bisogni”.

Il via libera alla proposta di programmazione e ripartizione delle risorse per il 2020 presentata dalla Vicepresidente Elly Schlein è arrivato oggi in Commissione Politiche salute e Politiche sociali, presieduta dalla Presidente Ottavia Soncini. Come lo scorso anno, la Regione ha deciso di destinare l’intera quota nazionale al rafforzamento degli interventi a favore di bambini, adolescenti e famiglie con figli.

“Abbiamo riposizionato il fondo tenendo conto della crisi determinata dal Covid-19- interviene Soncini- prevedendo un’attenzione specifica al contrasto alla dispersione scolastica, alla povertà minorile, educativa e relazionale e alle comunità e strutture residenziali per minori in prima linea in questa emergenza. Questa è una crisi simmetrica, che ha interessato tutti i Paesi, ma con effetti asimmetrici perché ha indebolito ancora di più le fasce deboli della nostra popolazione. Le famiglie negli ultimi anni sono state al centro di profondi cambiamenti sociali, culturali, demografici ed economici ora rischiano di aggiungersi nuove dimensioni di vulnerabilità dovute ad un abbassamento delle condizioni di reddito, alla perdita di posti di lavoro, alla diminuzione di opportunità, ma anche una minore fiducia delle giovani generazioni verso il futuro. La situazione richiede il massimo sforzo amministrativo e di sapere dare risposte in fretta; i servizi pubblici, in particolare sociali, sanitari ed educativi, faranno la loro parte nella realizzazione di progettualità innovative che mettano al centro la persona e le sue fragilità a partire dal contrasto a forme di disagio ed esclusione sociale che potrà avere effetti nel medio e lungo periodo. Andrà monitorato il rischio forte di penalizzazione delle donne e dei giovani nel mondo del lavoro”. Conclude Soncini “dovremo essere molto attenti alle persone in difficoltà economica che non rientrano nelle misure di sostegno al reddito ordinario e straordinario di livello nazionale ed europeo.”

Le persone al centro della ripartenza. Il sistema sanitario pubblico incentrato sulle comunità e sulla prevenzione delle fragilità

Sanità, welfare e lavoro al centro dell’intervento della consigliera regionale Ottavia Soncini, presidente della commissione politiche della salute e sociali, durante la seconda seduta telematica dell’assemblea legislativa. “A fronte dei sacrifici fatti, nelle prossime settimane non dobbiamo lasciare nessuno indietro. – ha detto Soncini – I nostri concittadini, le nostre imprese, le nostre famiglie non devono sentirsi abbandonate e devono poter trovare risposte ai loro bisogni. Dobbiamo continuare a fare squadra e offrire un quadro chiaro di quando, chi e come ripartirà. Per questo la ripartenza deve avvenire in maniera coordinata e condivisa, mettendo al centro il tema sanitario ma anche quello della ripresa delle filiere industriali che sono la linfa dei nostri territori. Proprio in commissione ho sottolineato che sarebbe opportuno istituire un’agenzia centrale tecnica per il contrasto al Covid 19 presso l’Iss per un coordinamento veloce dei dipartimenti di prevenzione sul territorio insieme alla medicina di base. Quindi un sistema sanitario pubblico incentrato sui bisogni delle nostre comunità e sulla prevenzione delle fragilità, coinvolgendo la medicina d’iniziativa, il terzo settore e monitorando a tappeto le condizioni di salute dei territori, mettendo al primo posto anche la prevenzione, quindi corretti stili di vita, alimentazione sana e movimento”.

Fondamentale sarà anche il protocollo condiviso con le parti sociali per garantire la tutela e la sicurezza negli ambienti di lavoro, tema che verrà trattato anche nella prossima commissione IV. “La priorità è far rispettare, a tutti i livelli, le misure per il distanziamento fisico e promuovere l’utilizzo diffuso dei dispositivi di protezione individuale, fino a quando non saranno disponibili una specifica terapia e un vaccino, a partire dall’uso delle mascherine chirurgiche per tutti sia all’interno che all’esterno dei locali”. Soncini ha sottolineato anche la necessità di un uso corretto dei test sia di quelli molecolari sia di quelli sierologici, ed è necessario predisporre un piano nazionale in grado di fotografare efficacemente lo stato epidemiologico del Paese. “Dobbiamo inoltre intervenire con più incisività sulle persone che abitano con conviventi in quarantena perché positivi al Coronavirus e nelle strutture protette e nelle strutture residenziali sociosanitarie per anziani e disabili, che vivono una situazione di emergenza nell’emergenza. È necessario inoltre -prosegue- ripartire progressivamente per garantire le cure a tutti gli emiliano-romagnoli. Da oggi, a seguito della ordinanza emanata ieri dalla Regione, in tutta l’Emilia-Romagna, è ripartita l’erogazione di alcune prestazioni programmabili e non urgenti da parte delle strutture del sistema sanitario pubblico e privato. Di pari passo alla ripartenza vi è l’accompagnamento, in particolare delle famiglie con persone con disabilità, alle quali va garantito il diritto universale di presa in carico. Le cose fatte vanno implementate ed un ruolo fondamentale a supporto di queste famiglie e delle diverse attività lo può avere il terzo settore e il volontariato”.

 Ultimo ma non meno importante il tema della famiglia e del ruolo della donna. “Le donne devono poter tornare al lavoro al pari degli uomini perché non ci si può permettere il crollo produttivo del mondo femminile. – ha concluso Soncini – Abbiamo bisogno di riorganizzare e ripensare sia i servizi scolastici sia i servizi comunali. Le persone e i loro diritti devono essere al centro: a partire da disabili, adolescenti e soprattutto bambini piccoli nell’epoca del distanziamento. Sia chiaro, sono per la tutela della salute e la gradualità, ma anche per la progettualità. Qui deve arrivare il nostro sforzo per rassicurare e accompagnare le famiglie che affidano alla comunità il bene più prezioso: i figli. Per questo serve il pieno sostegno alla conciliazione lavoro-famiglia, ed è urgente che la politica elabori una proposta fattibile e flessibile sull’infanzia. Questa emergenza deve essere l’occasione per passare da un welfare familistico, che spesso scarica sulle generazioni dei nonni e dei genitori compiti di cura e accudimento ad un welfare famigliare per sostenere le famiglie e le loro difficoltà”.

Puntiamo su un welfare familiare che renda ancora più solida e solidale la nostra Regione

“L’impatto demografico di questa emergenza avrà effetti importanti anche sulla natalità. I fattori frenanti sono l’aumento delle difficoltà economiche, il rallentamento per i giovani dell’accesso al lavoro, la posticipazione delle scelte di autonomia e formazione di una propria famiglia, l’incertezza sul dopo. Per questo è necessario che la Regione Emilia-Romagna metta in campo tutte le misure possibili a sostegno dei bambini e delle famiglie”. A dirlo è la consigliera regionale Ottavia Soncini, Presidente della Commissione Politiche della Salute e Sociali, a margine della Commissione Parità, nella quale è intervenuta anche l’assessore Barbara Lori circa i riflessi dell’emergenza Covid 19 sulle politiche di parità della Regione.

“Le principali conseguenze indirette del contenimento del virus tendono a ricadere significativamente proprio sui più giovani. — spiega Soncini — È ad essi che vengono chiesti i maggiori sacrifici per proteggere, giustamente, le generazioni più mature. Giovani che in questa emergenza, perdono giorni di scuola, opportunità di lavoro, reddito. Ci sono ostacoli che non sono scomparsi, anzi, in questa situazione rischiano di amplificarsi. Se vogliamo il bene delle nuove generazioni ma soprattutto se vogliamo che i giovani diano la spinta per una ripartenza dopo l’emergenza, è necessario pensare ad un piano che restituisca ad esse una posizione centrale nelle politiche del paese e in quelle regionali. — conclude Soncini — Un piano orientato a rafforzare la loro formazione, l’ingresso qualificato nel mondo del lavoro, la valorizzazione del capitale umano, e la realizzazione piena dei progetti di vita. Per questo immagino un piano in cui chi ha bambini o desidera averli, sappia quali siano le opportunità che questa Regione offre, gli interventi non spezzettati ma organici. Perché chi ha un figlio deve avere la certezza che verrà sostenuto dalla comunità. Puntiamo quindi su un welfare familiare che renda ancora più solida e solidale la nostra Regione”.

Secondo la consigliera Soncini le donne devono essere al centro della ripartenza. “Dobbiamo inoltre proseguire nel sostegno alle donne. A quelle che vorrebbero avere più figli ma molto spesso non riescono a farli o addirittura rinunciano alla presenza nel mercato del lavoro dopo la nascita del primo. Ad oggi i dati sull’occupazione femminile della Emilia-Romagna sono positivi. Questo deriva anche dalle politiche messe in campo a sostengo delle famiglie, dall’abbattimento e azzeramento delle rette, al piano adolescenza, dall’abolizione dei superticket sanitari al fondo affitti, per citarne alcune. È questa la direzione che dobbiamo mantenere, puntando sempre a migliorarci”.