Il mio intervento al convegno “Percorsi sanitari agevolati per le persone con disabilità”

Sabato mattina sono intervenuta al convegno “Percorsi sanitari agevolati per le persone con disabilità” organizzato grazie alla collaborazione tra AUSL IRCCS Reggio Emilia, Centrale Operativa 118 Emilia Ovest e Fondazione Durante e Dopo di Noi di Reggio Emilia onlus.

Qua potete trovare i pensieri che ho espresso al termine del convegno:

Buongiorno a tutti, vorrei innanzitutto ringraziare coloro che hanno lavorato a questi progetti, le persone fanno la differenza e ancora una volta la nostra azienda sanitaria locale si è data una priorità giusta e buona. Molte cose che avrei desiderato dire sono già state dette, ne sono felice! Aggiungo alcune cose che ho pensato ascoltando con interesse i vostri interventi: in primo luogo credo che il valore di questi progetti, i percorsi sanitari specifici, sia nel dare risposta ad un bisogno delicato. C’è una persona con disabilità a cui si aggiunge una sofferenza. Ed è una sofferenza che purtroppo spesso è una costante non variabile nella vita quotidiana delle persone con disabilità. Ad una fragilità si aggiunge una fragilità: credo sia dovuta questa attenzione. Il secondo aspetto sul quale è iniziato un lavoro che è da implementare, lo ritrovate guardando le slide sul “modulo delle informazioni terapeutiche del medico di medicina generale”, guardando il processo del percorso d’emergenza che si chiude con la diagnosi e cura: credo che la presa in carico delle persone fragili debba partire dagli operatori sanitari presenti sul territorio, dalla quotidianità; i percorsi sanitari agevolati (dall’accesso del pronto soccorso, all’emergenza 118, alle visite specialistiche) che avete pensato dovrebbero fare parte di situazioni di emergenza o comunque non frequenti. Credo che ci debba essere una presa in carico attiva e non passiva, il paziente con disabilità deve essere conosciuto prima di tutto dai medici di medicina generale e dagli operatori sanitari. Credo che l’accesso facilitato al pronto soccorso sia possibile se c’è un percorso che dura tutta la vita, se c’è una relazione che parte da prima in un dialogo costante, in un percorso clinico, in una conoscenza vera del paziente da parte dei medici. Questo rende più possibile e meglio realizzabile il progetto sulla visita specialistica, un progetto interessante perché è importante che i percorsi siano istituzionalizzati e nello stesso tempo flessibili. Non si può lasciare tutto alla buona volontà del medico di medicina generale che chiama lo specialista di turno e ricorda che c’è un paziente con disabilità e che potrebbe servire una strumentazione specifica, o che le linee guida ordinarie dei percorsi sanitari siano flessibili in modo che un esame, magari, venga fatto prima di altri, o che ci sia un “percorso adattato” e non ordinario per quella persona, o una competenza specifica dello specialista…. La formazione dei professionisti di cui avete parlato è fondamentale…Ecco, questo non può essere lasciato alla buona volontà, deve essere istituzionalizzato e ci deve essere un indirizzo. Tre aspetti, voglio essere veloce poiché la mattinata è stata lunga e ciascuno deve tornare dai propri figli:

  1. Abbiamo approvato il Piano Socio Sanitario a luglio, un piano atteso e importante e trovo in questi progetti la concretizzazione di molti aspetti del piano: il primo, l’integrazione tra tutto ciò che è sociale e tutto ciò che è sanitario. Se noi diamo delle risposte a delle fragilità, non solo aiutiamo delle persone ma questo diventa una leva per diminuire l’ospedalizzazione spinta. È una leva per far sì che l’autonomia di una persona possa durare il più a lungo possibile. Abbiamo poi notato nella stesura del piano, che le persone ci hanno chiesto una umanizazzione sempre maggiore dei servizi e quindi dobbiamo investire sulla domiciliarità e sulla prossimità.
  2. Secondo aspetto: la collaborazione. Serve la regia del pubblico ma oggi ci dobbiamo rendere conto che se vogliamo difendere e tutelare il nostro sistema sociosanitario, di fronte ad una società frammentata, in cui i bisogni cambiano, si polverizzano, noi abbiamo bisogno delle nostre comunità, del dinamismo delle associazioni di volontariato e di tutti coloro che sanno ascoltare, forse meglio di noi, i bisogni nuovi che ci sono sul territorio. Penso alle famiglie, al privato sociale, alle associazioni, al Terzo Settore che da sempre lavorano con noi. Quindi noi non possiamo pensare che ci sia solo “un mandato” che dà la Pubblica Amministrazione e voi dovete solo obbedire. No, io credo che sia giusto che ci sia una progettazione e una definizione insieme degli interventi per il bene delle nostre comunità.
  3. Ultima cosa: prima si parlava della riorganizzazione delle cure sanitarie. Le case della salute non sono su tutto il territorio però penso che vadano utilizzate perché hanno questa caratteristica di prendere in cura una persona dal punto di vista sanitario, ma anche di contenere dei percorsi di socializzazione che avvengono all’interno della casa della salute in una presa in carico complessiva. Ed è lì che si trovano servizi e professionisti e che parte la relazione, la conoscenza del paziente e della sua complessità per arrivare appunto ai vostri tre progetti. Mi ricollego con questo al ragionamento che provavo a fare all’inizio.

Davvero grazie a nome della Regione, il mio compito sarà quello di riportare quello che ho ascoltato stamattina, perché questi possano essere progetti pilota, un esempio anche per altre aziende sanitarie.

Grazie perché a noi interessa che l’accesso alla sanità sia facile (è un diritto costituzionale!), a noi interessa che si riconoscano le differenze per supportare le fragilità, a noi interessa che la prossimità e la relazione umana siano l’approccio normale ai servizi di cura. Ma soprattutto grazie perché a noi stanno a cuore le persone, sta a cuore che le persone stiano bene, soprattutto quelle più fragili, e quindi il vostro contributo è oggi fondamentale.