Case della salute, più vicine ai cittadini e più integrazione tra professionisti

Sempre più medicina di iniziativa, ovvero servizi che non aspettano il cittadino “sulla soglia”, ma sono in grado di andargli incontro, raccogliendo la sua domanda di salute prima che si trasformi in un aggravamento o una complicazione. Sempre più integrazione concreta tra i professionisti (non solo della sanità, ma anche del sociale), continuità dell’assistenza con l’ospedale e partecipazione della comunità locale (volontariato, associazionismo), elemento chiave per migliorare la promozione della salute.

E’ questa la direzione indicata dalla Regione per quanto riguarda le Case della salute, strutture dedicate alle cure primarie dove vengono erogati servizi e prestazioni sanitarie, socio-sanitarie e sociali che non necessitano di ricorso all’ospedale. La Giunta regionale ha approvato infatti nei giorni scorsi le nuove linee organizzative e assistenziali, a distanza di 6 anni dall’avvio dell’esperienza e dopo oltre un anno di confronti con professionisti e operatori, medici e pediatri di famiglia, enti locali, sindacati: confronti che hanno permesso di verificare quanto fatto finora e “mettere a sistema” le buone pratiche emerse nei territori.

Attualmente sono 84 le Case della salute in Emilia-Romagna, diffuse in modo capillare in tutta la regione e con un bacino di utenza di quasi 2 milioni di residenti. La maggior parte si trova in aree rurali e di collina, poi in aree montane e nei capoluoghi di provincia. Finora sono stati spesi 68,2 milioni di euro per le Case già operative, ne sono programmate altre 38 per circa 52,6 milioni di euro (che comprendono anche risorse destinate alle strutture delle aree colpite dal sisma del 2012).

 

Le nuove linee guida: quattro “aree integrate”
D’ora in poi le Case della salute non saranno più pensate a partire dai servizi, ma per aree integrate. Questo significa che la presa in carico della persona avverrà con percorsi chemettono insieme professionisti e servizi diversi. Un processo già in corso, di fatto, in molte realtà, ma non ancora uniforme in tutta la regione. Quattro le aree integrate individuate: prevenzione e promozione della salute; popolazione con bisogni occasionali-episodici; benessere riproduttivo, cure perinatali, infanzia e giovani generazioni; prevenzione e presa in carico della cronicità. Un esempio: nella Casa della salute, oltre l’ostetrica, c’è il medico di medicina generale, il pediatra, la pediatria di comunità e le associazioni delle mamme. Insieme costituiscono l’area “benessere riproduttivo, cure perinatali, infanzia e giovani generazioni”, che nasce da un lavoro d’integrazione.

La sfida, infatti, consiste proprio nel realizzare quell’“integrazione orizzontale” che è il vero valore aggiunto delle Case della salute, la collaborazione e la condivisione di obiettivi e azioni tra tutti i protagonisti: medici e pediatri di famiglia, dipartimenti territoriali e ospedalieri delle Aziende sanitarie, servizi sociali, la comunità (cittadini singoli e associazioni). Tutto questo attraverso un programma formativo rivolto ai professionisti che lavorano nella Case, accompagnato da interventi di supporto attivati a livello regionale, che derivano dalle esperienze virtuose emerse nelle singole realtà. In quest’ottica nella Casa della salute assume sempre più valore l’accesso alla struttura, il momento dell’accoglienza della persona e dell’orientamento: una funzione che garantisce a tutti equità di accesso ai servizi e che in molte realtà è oggi consolidata grazie alle organizzazioni di volontariato. Un ruolo centrale, infine, è svolto dai medici e pediatri di famiglia: il lavoro d’équipe a cui sono portati all’interno delle Case, con infermieri e altri medici, consente di intervenire in modo più tempestivo e appropriato, per esempio nella gestione di patologie croniche (diabete, prevenzione del rischio cardiovascolare).