La peste bianca in Occidente

A Milano, la seconda città d’Italia e cuore della sua crescita economica, ci sono più cani che nuovi nati. Il capoluogo lombardo ha perso metà delle nascite in dieci anni, passando da 17 mila nel 2006 a meno di diecimila nel 2017. Quando parliamo di Milano non parliamo di una città in crisi, anzi: così come la nostra Emilia-Romagna può vantare risultati eccezionali nel campo dell’esportazione e della piena occupazione, la capitale ambrosiana vive una vivacità e un dinamismo economico che la rende ancora una volta nella storia autentica locomotiva nazionale.

Il nostro Nord è uscito dalla fase più grave della crisi mondiale, eppure – tra molti riconoscimenti in tema di qualità dei servizi pubblici e di preziose forme di resilienza nel campo dell’educazione e del welfare privato – il fantasma della “peste bianca”, di cui scriveva nel 1974 Pierre Chaunu evocando in forma letteraria il rapido e inatteso tramonto dell’Occidente, si aggira nelle capitali come nelle province di un continente che guarda ovunque purché non sia costretto a osservare all’altezza degli occhi la realtà.

Una realtà che ci ha consegnato, al termine del secolo più sanguinoso della storia dell’umanità, il privilegio del sogno dell’edificazione di una società finalmente libera dai conflitti, pacificata tra gli esseri, equa nella convivenza sociale, libera nella manifestazione del proprio sentimento religioso – e che per converso, senza che i primi topi iniziassero a comparire nell’immortale romanzo di Albert Camus, si ritrova oggi gravemente affetta da un virus potenzialmente mortale, e potenzialmente mortale per sempre.

Abbiamo letto tutti gli ultimi dati Istat relativi alle dinamiche demografiche italiane.

Neppure più l’elevato tasso di natalità assicurato dalle coppie di stranieri riesce a compensare il crollo della natalità tra italiani. Il biennio 2017-2018 è analogo a quello del secolo precedente, a Grande Guerra in corso, e alla terribile epidemia di “spagnola” che vi fece seguito.

Il resto degli indicatori conferma una semplice constatazione: gli italiani hanno smesso di generare figli e questa colossale frenata nelle nascite va creando le condizioni per uno stravolgimento epocale nell’assetto della società: sia sufficiente evocare il crack del sistema pensionistico nazionale, più vicino di quanto analisti e governanti tendano a riconoscere. “L’Italia – ha osservato il prof. Blangiardo, docente di Demografia all’Universita di Milano-Bicocca – sembra un paese che non sia più in grado di autosorreggersi”.

Le previsioni Istat vengono riaggiornate anno dopo anno. Un calo di 400mila italiani l’anno, previsto tra trent’anni, oggi è invece alle porte. Gli italiani figli di italiani attualmente sono 55 milioni – un numero che evoca gli anni Settanta. Gli over 65enni rappresentano il 22,8% della popolazione e sono in rapida crescita. Qualora le tendenze in corso vengano confermate, nel volgere di una sola generazione dovremo familiarizzare con concetti quali “civiltà fantasma”, in voga in Giappone, il paese più longevo al mondo, dove il numero dei bambini è inferiore al 10% della popolazione e dove gli asili vengono riconvertiti in strutture per anziani (più del 45% dei giapponesi è over 65).

Sarebbe illusorio credere che il problema riguardi solo noi italiani. Un altro esempio, per essere chiari: nei paesi dell’Europa dell’Est, a suo tempo appartenuti al blocco sovietico, il numero degli abitanti dalla riconquistata libertà ad oggi è calato di quasi 20 milioni di unità. Possibile? È ciò che è avvenuto. E la fuga degli abitanti dal blocco di Višegrad indica un trend che si estende dal Baltico al Mar Nero: anche l’Europa orientale sta fuggendo da se stessa e anche di essa si parlerà come di una “civiltà fantasma” nel volgere del presente secolo.

Il solo tentativo su larga scala sinora compiuto per contrastare il crollo demografico da popoli in difficoltà è stato messo in opera circa un decennio fa dalla Federazione Russa, con risultati controversi: forti sostegni cash alle famiglie che procreano e innalzamento drastico dell’età pensionabile. A ciò sono state accompagnate politiche per un più corretto stile salutare da parte dei maschi russi, non proprio una caratteristica tradizionale. Qualche risultato positivo, nell’inversione dell’indice demografico, si è visto.

E in Italia? Per paradosso, il tema del suicidio identitario del Paese è espulso dal dibattito politico e dal dibattito pubblico. Si discetta molto di preferenze singolari ma non ci si accorge che la peste bianca ha ormai colpito l’intera penisola. “Mettere su” famiglia appare un’impresa disperata e, comunque, nelle mille difficoltà della società atomizzata, è andato in gran parte smarrendosi il valore aggiunto della famiglia tradizionale fatto di aiuto reciproco, di mutuo sostegno, di solidarietà permanente.

Risposte istituzionali e sociali a sostegno della famiglia vanno accompagnate da una risposta personale: siamo ancora capaci di affrontare la fatica e le conseguenze che comportano la maternità? Il dono di un figlio, la scelta gratuita di essere madri e padri ha implicato per secoli risposte ataviche. Oggi, dinanzi all’enormità di una vita che nasce, persino un piccolo sacrificio appare insormontabile. C’è molto da fare, per tutti.

“Fare un figlio” o “prendo un cane” – con tutto l’amore e la gratitudine verso i nostri compagni domestici – è una scelta la cui distanza anche solo sul piano del linguaggio va assottigliandosi. E indica con precisione il campo nel quale oggi i nostri pensieri vadano muovendo.

Ottavia Soncini
Articolo pubblicato sul settimanale cattolico reggiano “La Libertà” del 3 luglio 2019

APPROVATA OGGI LA NUOVA LEGGE REGIONALE PER LE PERSONE SORDE

Dopo diversi anni di lavoro, oggi è stata approvata con voto unanime una nuova legge regionale a tutela dei diritti delle persone sorde, sordomute e con disabilità uditiva. Il tasso di civiltà si valuta su come e quanto ci si prende cura delle persone invisibili.

La legge, che riguarda direttamente circa 4.000 cittadini emiliano-romagnoli, definisce un quadro di risorse ed interventi pubblici volti all’inclusione sociale e lavorativa, alla facilitazione nell’accesso ai servizi sociosanitari, alla scuola, all’informazione. Vi sono poi contenute buone pratiche nel campo del diritto alla traduzione, dalla cultura allo sport.

Approvato, inoltre, un emendamento a mia firma, frutto di un confronto con Reggio Emilia Città Senza Barriere, per valorizzare le iniziative scolastiche. Quando i ragazzi, anche udenti, si trovano a condividere il percorso scolastico con allievi sordi o sordociechi o con, in generale, una disabilità uditiva, questa può diventare un’opportunità per tutti di crescita personale ed educativa. Credo sia importante richiamare il fatto che la scuola è davvero una comunità educativa complessiva.

Sono particolarmente soddisfatta per l’obiettivo raggiunto, perché il contenuto di questa legge è frutto di un lavoro con le associazioni del settore durato da anni. E anche il voto unanime dell’Assemblea legislativa Regione Emilia-Romagna conferma che abbiamo svolto tutti, insieme, un buon lavoro 💪.

Nuove opportunità, benessere e contrasto al disagio giovanile: dalla Regione 600mila euro a iniziative per l’adolescenza

Promuovere, tra i più giovani, benesseresocializzazione, opportunità di crescitaprotagonismo sociale e stili di vita sani,offrendo loro momenti di aggregazione e confronto educativo, come deterrenti al disagio e all’isolamento.

Va in questa direzione il bando “Adolescenza”da 600mila euro approvato in questi giorni dalla Giunta regionale e destinato ad associazioni di promozione sociale, organizzazioni di volontariatocooperative socialioratori parrocchie di tutto il territorio, da Piacenza a Rimini. Il bando, finanziato per il decimo anno consecutivo, stabilisce criteri e risorse disponibili a livello provinciale per la realizzazione di attività educative e sociali rivolte a ragazzi e ragazze tra gli 11 e i 19 anni residenti in Emilia-Romagna, che sfiorano i 360 mila.   

L’obiettivo della Regione è sostenere i giovani, coinvolgendo la società civile, nel complesso e delicato passaggio di crescita e scoperta del mondo, con un’attenzione particolare puntata sugli stili di vita e sulle relazioni con coetanei e adulti di riferimento. Nelle attività finanziabili con i contributi regionali potranno rientrare quelle di carattere culturalericreativosportivosociale (di oratorio o simili, come lo scoutismo), e quelle più propriamente educative a favore di adolescenti e preadolescenti in difficoltà: sostegno scolasticocontrasto alla dispersione scolasticaeducazione alla legalità, prevenzione al bullismo e al cyberbullismo. Non ultimi, possono essere finanziate proposte sulla promozione dell’educazione tra pari, finalizzati a valorizzare il protagonismo dei ragazzi e a sviluppare la loro capacità di aiutarsi.

Dei contributi complessivi, 150mila euro sono destinati a progetti di rilevanza regionale (attività che si realizzeranno in almeno tre province) e 450mila a quelli che hanno valenza territoriale, cioè realizzati a livello locale.

Ripartizione dei fondi, per provincia

A livello territoriale, i 450 mila euro destinati a finanziare i progetti di rilevanza localevengono così suddivisi tra tutte le province dell’Emilia-Romagna, sulla base del numero di residenti di età compresa nella fascia di età 11-19 anni: a Bologna, con 78.944 cittadini residenti in questa fascia di età, sono assegnati 99.200 euro; Modena74.400 (59.196 residenti); Reggio Emilia 59.600 (47.483 residenti); Parma 44.400 (35.363 residenti); Forlì-Cesena 40.300 (32.123 residenti); Ravenna 38.500 (30.661 residenti); Ferrara 30.000 (23.907 residenti);  Rimini 35.200 mila (28.087 residenti) e Piacenza, alla quale sono stati assegnati 28.200 euro (22.440 residenti).

Domande e scadenze

Le domande devono essere inviate entro le ore 13 del 17 giugno 2019 in originale (pena l’esclusione) alla Regione Emilia-Romagna per posta elettronica certificataall’indirizzo mail: segrsvilsoc@postacert.regione.emilia-romagna.it oppure tramite lettera raccomandata inviata al Servizio politiche sociali e socio-educative, viale Aldo Moro 21, 40127 Bologna.

Il bando è pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Emilia-Romagna n.154 del 17.05.2019 (Parte Seconda) consultabile on line

Nidi, obbligo di accreditamento per quelli privati: indispensabile per ottenere fondi pubblici. E per tutti, qualità certificata

Scatterà a breve in Emilia-Romagna l’obbligo dell’accreditamento per accedere ai finanziamenti pubblici da parte dei nidi privati. È la novità più significativa della direttivadella Giunta regionale, che dopo aver ottenuto oggi il via libera dalla Commissione assembleare sarà formalmente approvata dalla Giunta entro fine mese. Con questo provvedimento si completa la riforma di nidi, micronidi e servizi integrativi avviata nel 2016 con la legge regionale che aveva anche introdotto l’obbligo vaccinale per i bambini iscritti. 

L’introduzione della procedura obbligatoria di accreditamento per le strutture private integra la semplice autorizzazione al funzionamento finora richiesta per l’apertura dei nidi, che prevedeva il rispetto delle norme igieniche e sanitarie, di sicurezza degli ambienti e di un numero di educatori proporzionato a quello dei piccoli ospitati. 

Gli altri elementi contenuti nella “Direttiva per l’accreditamento dei nidi d’infanzia”riguardano tutte le strutture del territorio emiliano-romagnolo destinate alla fascia 0-3 annipubbliche e private: la formulazione del progetto pedagogico; la presenza del coordinatore pedagogico; l’adozione di strumenti di auto-valutazione dei servizi educativi offerti, oltre ad un adeguato numero di ore di formazione del personale. L’obiettivo è quello di assicurare a tutti i bambini, qualsiasi nido frequentino, comuni livelli di qualità nell’offerta educativa e nella professionalità del personale

La proposta dalla Giunta, frutto di un lavoro condiviso tra Regione, Comuni e associazioni dei gestori privati, interessa un sistema regionale composto complessivamente da 1.233 servizi, per oltre 33mila bimbi iscritti; e la richiesta di accreditamento riguarderà le 537 strutture private presenti sul territorio.

La Direttiva, in sintesi

Garantire una qualità diffusa, descrivibile, valutabile della gestione e dell’offerta pedagogica, da Piacenza a Rimini, di tutti i servizi per i bambini nella fascia da 0 a 3 anni èl’obiettivo del provvedimento che entrerà in vigore in modo graduale a partire dai nidi.

Infatti, la procedura dell’accreditamento coinvolgerà per ora solo questa tipologia di servizi e successivamente sarà estesa anche a quelli integrativi (Spazio bambini, Centri bambini e famiglie e servizi domiciliari). 

Il testo definisce una serie di norme comuni per nidi, micronidi, sezioni aggregate alle scuole dell’infanzia, sia pubblici sia privati che prevedono: personale educativo ed ausiliario adeguatamente formato, al quale deve essere garantita la possibilità di aggiornarsi in modo continuativo durante lo svolgimento dell’attività lavorativa; presenza del  coordinatore pedagogico laureato in pedagogia che ha l’obbligo di partecipare alle attività del Coordinamento pedagogico territoriale (organismo composto da tutti i coordinatori pedagogici dei servizi educativi dell’ambito provinciale, con compiti anche di supporto al percorso di valutazione della qualità dei servizi); redazione del  progetto pedagogico proposto ai bambini e alle loro famiglie; auto-valutazione delle  attività svolte, redazione di un report finale e formulazione di nuove proposte per migliorare i servizi.

Il sistema educativo 0-3 anni in Emilia-Romagna

Il sistema dei servizi educativi per la prima infanzia in Emilia-Romagna è rappresentato da nidi d’infanzia che possono accogliere bambini in età 3 – 36 mesi, sia a tempo pieno che a tempo parziale, organizzati con modalità diversificate in riferimento ai tempi di apertura (tempo pieno e part-time) e alla loro ricettività; dai servizi domiciliari organizzati in piccoli gruppi educativi; da quelli integrativi, come lo Spazio bambini e i Centri per bambini e famiglie

Secondo i dati regionali riferiti all’anno educativo 2017-2018, in Emilia-Romagna i bambini piccoli e piccolissimi iscritti nei 1.233 servizi educativi erano complessivamente 33.097. Sul totale delle strutture, 696 (per 24.012 iscritti) erano pubbliche, in capo cioè ai Comuni o loro Unioni, e537 quelle gestite da privati (enti e associazioni ecclesiastiche e di carattere sociale), frequentate da oltre 9mila bambini.

“Dopo di noi”, al via 23 progetti per il futuro delle persone disabili sole. Dalla Regione 2,8 milioni di euro

Emancipazione dal nucleo familiare, supporto all’assistenza domiciliare, miglioramento delle capacità di gestione della vita quotidiana: guardano al “Dopo di noi”, quindi alla possibilità per le persone disabili sole di vedere un futuro più autonomo, i 23 progettiapprovati in questi giorni, dalla Giunta regionale e finanziati su tutto il territorio, da Piacenza a Rimini, con 2 milioni e 800 mila euro.  

Gli interventi sono stati valutati dal Gruppo tecnico regionale e selezionati dalle singole Conferenze Territoriali Sociali e Sanitarie (gli organismi in capo ai Comuni per coordinare le politiche sociali, sanitarie e socio-sanitarie) tra le proposte presentate attraverso il bando 2018 da Comuni e Unioni, soggetti del Terzo settoreassociazioni di genitori singoli familiari. Le risorse per finanziare i progetti provengono dal Fondo nazionale del “Dopo di noi”, che ha messo a disposizione dell’Emilia-Romagna oltre 13 milioni di euro per il triennio 2016-2018.  

A livello territoriale, gli interventi ammessi al finanziamento sono così suddivisi: Area metropolitana di Bologna 6 progetti finanziati per 618 mila euro; Modena 3 progetti (449 mila euro); Reggio Emilia 3 progetti(337 mila euro); Parma 1 progetto(270 mila euro); Ravenna 2 progetti(253 mila euro); Forlì-Cesena 2 progetti(253 mila euro);Ferrara 2 progetti(224 mila euro); Rimini 2 progetti(224 mila euro); 2 progetti finanziati anche a Piacenza, per 168 mila euro.

I 23 progetti selezionati riguardano il sostegno alla residenzialità, il cuore innovativo della legge sul Dopo di noi, per consentire alle persone con disabilità di decidere autonomamente dove, come e con chi vivere la propria vita futura, in maniera gradualmente indipendente dai genitori, in una vera casa e non necessariamente in un istituto o una struttura speciale. Tra le soluzioni abitative proposte rientrano le cosiddette “Scuole di autonomia” o “Appartamenti palestra” nei quali le persone con disabilità, ancora assistite dai propri familiari anche se ormai anziani, imparano gradualmente, con l’aiuto di educatori, a rendersi il più possibile autonome nella gestione della vita quotidiana (cucinare, fare la spesa, pulire la casa, prendersi cura della propria persona), per poi trasferirsi definitivamente in case vere e proprie. O ancora, piccoli appartamenti (da 3 a 5 ospiti) che non prevedono la presenza di personale giorno e notte, oppure gruppi-appartamento, dove l’assistenza sanitaria, in presenza di persone con disabilità più gravi, si coniuga con un maggiore impegno per l’integrazione sociale. Costituiscono invece una novità i progetti di co-housing: strutture residenziali più innovative, “di tipo familiare”, che favoriscono lo sviluppo relazionale, attraverso l’istituzione di spazi comuni per la quotidianità e il tempo libero. I nuovi alloggi, secondo quanto previsto dalla legge, dovranno essere collocati in zone residenziali e non potranno essere abitati da più di cinque persone.

Il programma regionale del “Dopo di noi”

Dare ai disabili gravi la possibilità di decidere del proprio futuro, per poter scegliere dove e con chi vivere e cominciare un percorso che li porti alla massima autonomia possibile, in vista del momento in cui i genitori non ci saranno più. Un risultato da raggiungere con un progetto individuale elaborato per ciascuno di loro, calato nel contesto in cui vivono e pronto a evolversi nel tempo. Con questo obiettivo la Regione Emilia-Romagna ha approvato nel 2017 il primo programma regionale di attuazione della Legge nazionale per l’assistenza alle persone con disabilità prive del sostegno familiare, il cosiddetto ‘Dopo di noi’.  

Interventi già realizzati in Emilia-Romagna

In Emilia-Romagna sono complessivamente 91 le soluzioni residenziali utilizzate su tutto il territorio per progetti del “Dopo di noi” tra Gruppi appartamento, Abitazioni per piccoli gruppi e convivenza stabile e Appartamenti Palestra o Scuole di autonomia per soggiorni a termine. Le più diffuse sono queste ultime, che consistono in appartamenti dove le persone con disabilità, ancora assistite dai propri familiari anche se ormai anziani, imparano a rendersi il più possibile autonomi nella gestione della vita quotidiana preparandosi ad uscire dalla famiglia di origine. Le persone coinvolte in questi soggiorni a termine – dal primo anno di avvio del programma, nel 2016 – sono state 482.  

Altri interventi hanno riguardato 325 persone, ormai prive di sostegno familiare, ospitate in piccoli appartamenti (da 3 a 5 ospiti), che non prevedono la presenza di personale giorno e notte, oppure in gruppi-appartamento, che garantiscono una presenza maggiore di personale educativo ed assistenziale e dunque una situazione più adeguata a chi ha meno autonomia.

144 interventi hanno inoltre riguardato percorsi di accompagnamento per l’uscita programmata dal nucleo familiare di origine o da strutture residenziali ritenute meno adeguate, con la successiva accoglienza in piccoli appartamenti per l’autonomia o gruppi appartamento. Infine, sono stati 55 tirocini finalizzati all’inclusione e 58 i ricoveri temporanei in strutture residenziali, per fornire alle famiglie assistenza in particolari casi di emergenza.

Centri estivi, dalla Regione 6 milioni di euro per alleggerire le rette: il contributo sale a 336 euro per 4 settimane, ecco come ottenerlo

Un aiuto concreto alle famiglie, per permettere ai genitori che lavorano e non possono contare su supporti esterni di mandare i propri figli ai centri estivi: una realtà funzionale e molto varia sul territorio, da Piacenza a Rimini, che tuttavia può rivelarsi gravosa per il bilancio domestico.

Per il secondo anno consecutivo la Regione Emilia-Romagna finanzia con 6 milioni di euro il progetto per alleggerire il costo delle rette di iscrizione, favorendo così la conciliazione dei tempi lavoro-famiglia. E lo fa con una novità: salgono fino a 336 euro  (erano 210 nel 2018) i contributi previsti per ogni figlio84 euro la settimanaper un massimo di 4 settimane (o una durata maggiore nel caso in cui il costo settimanale della retta sia inferiore a 84 euro). 

Nel 2018, primo anno di sperimentazione del progetto finanziato dal Fondo sociale europeo, sono stati oltre 13.000 i bambini e ragazzi – da 3 a 13 anni d’età – iscritti ai 1.200 centri estivi “accreditati” dai Comuni, cioè in possesso dei requisiti stabiliti dalla direttiva regionale, e 314 i Comuni coinvolti.

Questo il primo bilancio del “Progetto per la conciliazione tempi cura lavoro: sostegno alle famiglie per la frequenza di centri estivi”, presentato oggi in Regione a Bologna, nel convegno dedicato alla rete e all’ulteriore qualificazione dei centri estivi dell’Emilia-Romagna.

Dall’analisi dei risultati ottenuti nella prima estate di sperimentazione emerge che a organizzare le attività sono stati prevalentemente gli stessi Enti pubblici (Comuni, Unioni di Comuni, Aziende pubbliche di servizi) e privati (Cooperative, Onlus, Associazioni gestori di servizi educativi e sociali, Enti religiosi) che gestiscono le scuole o i servizi educativi anche nel periodo scolastico. Accanto a queste realtà, si sono attivate quelle messe in campo da parrocchie, oratori, Fondazioni e associazioni sportive e culturali. Una proposta che in regione è molto ampia e varia, con attivitàche vanno dal gioco alla scoperta della natura, dallo studio allo sport, fino ai laboratori teatrali e linguistici. Diversi anche gli orari di frequenza previsti, da qualche ora all’intera giornata. 

Requisiti per beneficiare del contributo

Possono beneficiare del sostegno finanziario per il pagamento delle rette di frequenza dei centri estivi le famiglie con figli in età 3-13 anni residenti in Emilia-Romagna composte da entrambi i genitori, o uno solo in caso di famiglie mono genitoriali, occupati, in cassa integrazione oppure senza lavoro ma iscritti ai centri per l’impiego, con un reddito Isee annuo entro i 28 mila euro.

Come fare domanda

Per quanto riguarda l’iter di compilazione dell’offerta alle famiglie, entro il 30 maggioi Comuni stileranno l’elenco dei centri – gestiti direttamente o, per quelli privati, individuati tramite bando – aderenti al progetto. Successivamente, i Comuni potranno ricevere le richieste di contributo: i genitori dovranno scegliere uno dei centri inseriti nell’elenco comunale e presentare la dichiarazione Isee. Spettano al Comune l’istruttoria, il controllo dei requisiti e la successiva compilazione della graduatoria delle famiglie individuate come possibili beneficiare del contributo, fino ad esaurimento della disponibilità finanziaria.

I centri estivi possono essere pubblici (organizzati direttamente dai Comuni) o privati (associazioni, cooperative, parrocchie e altri Enti religiosi) “accreditati” dai Comuni in base alla direttiva regionale del 2018 che ha previsto una revisione delle norme organizzative. La novità più significativa ha l’obiettivo di mettere i più piccoli al riparo dal rischio di maltrattamenti e abusi: il personale dei centri estivi, infatti, deve presentare il proprio casellario giudiziario, secondo quanto previsto dalla legge nazionale contro la pedopornografia. Altri requisiti riguardano la somministrazione dei pasti, che deve rispettare le linee guida regionali per l’offerta di alimenti e bevande salutari, e dunque garantire l’igiene e la correttezza alimentare. I centri, inoltre, devono dotarsi di servizi igienici separati per i bambini e gli educatori. Nelle strutture è poi richiesta la presenza di un responsabile con ruolo di coordinatore, in possesso del diploma di scuola secondaria di secondo grado e possibilmente del titolo di educatore o insegnante o, comunque, fornito di esperienza in campo educativo. I centri, inoltre, devono elaborare un progetto educativo sul quale informare adeguatamente le famiglie.

Dal 2020 per il responsabile del centro che accoglie più di 20 bambini, sarà invece indispensabile possedere una formazione più specifica in uno dei seguenti ambiti: educativo, formativo, pedagogico, psicologico, sociale, artistico, umanistico, linguistico, ambientale o sportivo.

Case popolari, affitti scontati per persone sole e anziani a basso reddito. La Regione cambia le regole di calcolo del canone di locazione

I Comuni potranno ridurre del 10% l’affitto alle quasi 14 mila persone sole, con un reddito inferiore a 17mila euro di Isee, che vivono nelle case di Edilizia residenziale pubblica (Erp) dell’Emilia-Romagna.

Il provvedimento è stato assunto dalla Giunta regionale con l’obiettivo di dare una mano ai nuclei familiari unipersonali, in particolare alle persone anziane, considerato che nel 65% dei casi (9.057) risultano composti da over 65enni.

I destinatari sono perlopiù inquilini di vecchia data a reddito basso: una fascia di cittadini che si è pensato avesse bisogno di maggior tutela dopo le nuove modalità di calcolo dei canoni di locazione adottate con la riforma regionale del 2016; una riforma che oltre alle fasce di reddito ha introdotto altri parametri per la determinazione del calcolo del canone come la metratura, le caratteristiche qualitative dell’appartamento, il comune e la zona in cui è ubicato.

Le caratteristiche del provvedimento

Lo sconto sul canone introdotto dal provvedimento può essere applicato a due fasce di riferimento dell’utenza degli alloggi Erp: di accesso agli immobili, per cui è necessario avere un Isee compreso tra i 7.500 e 17.100 euro, e di protezione, una sorta di canone sociale riservato alle famiglie più povere, cioè quelle con un Isee massimo di 7.500 euro.

Il provvedimento sarà ora portato all’esame dell’Assemblea legislativa per l’approvazione definitiva entro il mese di aprile.

Gli alloggi di edilizia residenziale pubblica in Emilia-Romagna

Dall’attività di monitoraggio condotta sul totale delle assegnazioni di alloggi di edilizia residenziale pubblica gestiti dalle Acer nelle nove province emiliano-romagnole risulta che al 31 dicembre 2017 (ultimo dato disponibile) gli alloggi occupati sono 49.517, su un numero complessivo di 55.560 (parte dei quali in via di assegnazione o in ristrutturazione).

Dalla Regione 400 mila euro per sostenere le farmacie rurali, in aree montane e nei piccoli comuni

Molto più che luoghi dove acquistare o ritirare farmaci, prenotare esami e visite, avere da professionisti qualificati consigli e indicazioni, ma veri e propri punti di riferimento sanitari per il territorio e di presidio concreto per le piccole comunità. Sono le farmacie rurali, una realtà che la Regione Emilia-Romagna continua a sostenere, mettendo a disposizione anche per il 2019 400mila euro di contributi, con l’obiettivo di garantire un servizio essenziale come quello che esse svolgono nelle aree più disagiate e pertanto poco redditizie. Con un contributo minimo di 5.000 euro che può arrivare, nel caso delle farmacie con basso fatturato, fino a 12.500 euro.

Risorse e criteri di assegnazione sono stati illustrati questa mattina in Commissione assembleare dall’assessore regionale alle Politiche per la salute, Sergio Venturi, in vista dell’adozione della delibera da parte della Giunta la prossima settimana. 

Il sostegno alle farmacie rurali

Si tratta di un sostegno finanziario attivo dal 2017, in seguito all’approvazione di una specifica legge regionale (n. 2/2016) grazie alla quale le farmacie rurali a minor fatturato dell’Emilia-Romagna hanno potuto beneficiare di contributi economici (400mila euro complessivi l’anno) graduati in base al proprio volume d’affari: nel 2017 sono state 21 le farmacie sostenute, più che raddoppiate – 46 – nel 2018. Risorse che hanno permesso di garantire la permanenza di queste strutture sul territorio, come testimonia il fatto che dal 2015 ad oggi soltanto una farmacia è stata chiusa, con successiva apertura nella medesima località di un dispensario farmaceutico.

La Farmacia dei servizi

Ed è proprio sul modello della Farmacia dei servizi richiamato dall’assessore Venturi che la Regione Emilia-Romagna, tra le prime in Italia, ha deciso di puntare per il futuro, grazie all’Intesa recentemente raggiunta con le Associazioni di categoria delle farmacie pubbliche e private convenzionate. Un accordo – ha ricordato l’assessore – che prevede più prestazioni dirette per il cittadinoprogetti mirati per i pazienti con patologie cronichenuove modalità di erogazione dei farmaci, anche attraverso l’identificazione di farmacie di fiducia e la consegna a domicilio ai pazienti più fragili, nuovi servizi come la possibilità di aprire direttamente in farmacia il Fascicolo sanitario elettronico e di ritirare i referti di visite ed esami

Criteri e assegnazione delle risorse, tempi per presentare domanda

Queste le modalità e i criteri per la concessione dei contributi per il 2019: possono fare richiesta le farmacie rurali che nel 2018 abbiamo registrato volume d’affari massimo di 325 mila euro ai fini Iva; il contributo varierà da un minimo di 5.000 euro a un massimo di 12.500 euro.In particolare, sono individuate 4 fasce di fatturato delle farmacie rurali, cui corrispondono contributi che aumentano al diminuire del volume d’affari: fino a 200mila euro il contributo sarà di 12.500 euro; da 200.000,01 fino a 250mila, contributo di 10mila euro; da 250.000,01 fino a 300.000 euro, contributo di 7.500 euro; infine, da 300.000,01 a 325.000 euro il contributo sarà di 5.000 euro.
Ai contributi possono accedere tutte le farmacie rurali se rientrano nei tetti di reddito stabiliti, comprese quelle di nuova apertura, purché avvenuta entro il 2017; quelle aperte nel 2018 potranno beneficiare dei contributi attraverso il bando del prossimo anno.
Il contributo è concesso fino ad esaurimento delle risorse disponibili, in base alla graduatoria stilata in ordine crescente rispetto al volume d’affari complessivo ai fini dell’Iva: quindi dalla farmacia che fattura di meno, e che pertanto ha diritto a un contributo più alto, a quella che fattura di più (a parità di volumi d’affari identico ha la precedenza in graduatoria la farmacia che si trova nel comune con la popolazione meno numerosa).  In caso di risorse residue, dopo aver soddisfatto tutte le domande presentate dagli aventi diritto, la cifra rimanente sarà ridistribuita tra le farmacie più bisognose di sostegno, perché più a rischio di cessazione di servizio, cioè quelle con fatturato fino a 250mila euro.

titolari delle farmacie rurali, con sede in Emilia-Romagna e in possesso dei requisiti previsti per l’accesso al contributo, entro il 30 giugno 2019 dovranno presentare la domanda all’Azienda Usl di riferimento, presso il cui servizio Farmaceutico è possibile richiedere ulteriori informazioni.

Cosa sono le farmacie rurali

Le farmacie rurali si trovano in comuni, frazioni o centri abitati “con popolazione non superiore a 5.000 abitanti”, ad eccezione di quelle situate “nei quartieri periferici delle città, congiunti a queste senza discontinuità di abitati” (questa la definizione della legge 221/1968). Svolgono, quindi, un’importante funzione sanitaria, e rappresentano un presidio fondamentale per le piccole comunità; ma, proprio per la collocazione e il bacino di utenza ridotto, possono avere problemi di sostenibilità economica.

Le farmacie rurali in Emilia-Romagna

Le farmacie aperte in Emilia-Romagna sono 1.334, di cui 520 rurali (39% delle farmacie totali). Nel 2018 le farmacie rurali con fatturato inferiore a 250.000 euro erano 20 (4% delle farmacie rurali, 1,5% delle farmacie totali).

Ludopatia, stop della Regione all’uso di macchinette “ticket redemption” per gli under 18

Si trovano perlopiù all’interno di sale giochi, centri commerciali e nei parchi divertimento. Sono le “ticket redemption”, macchinette da gioco che, alla fine di ogni partita, restituiscono ticket (tagliandi) da convertire in premi: braccialettini, portachiavi, cuffiette, gadget di vario tipo. Fino a orologi da polso, Mp3, Ipad.

In Emilia-Romagna c’è una legge regionale (“Norme per il contrasto, la prevenzione, la riduzione del rischio della dipendenza dal gioco d’azzardo patologico”) che ne vieta l’utilizzo ai minori: oggi la Commissione assembleare ha dato il via libera alla delibera di Giunta in cui sono contenute le modalità attuative del divieto, e che prevede una serie di obblighi ben precisi per i gestori dei locali.

Divieto di utilizzo: le novità introdotte
Il testo licenziato dalla Commissione assembleare (che dovrà ora tornare in Giunta per l’approvazione definitiva) introduce, per i gestori, l’obbligo diaffiggere nei locali l’apposita locandina regionale in cui viene menzionato il divieto di utilizzo delle “ticket redemption” da parte dei minorenni. Non solo: c’è anche l’obbligo di affiggere in modo visibile su ogni apparecchio oggetto del divieto un avviso in cui deve essere chiaramente indicato che l’utilizzo è vietato ai minori di 18 anni.

I gestori, inoltre, devono accertare l’età del cliente, tranne nei casi in cui la sua maggiore età sia evidente. Se minorenne, non devono vendergli i gettoni, né consegnargli il premio derivante da una vincita. Nel caso di violazione degli obblighi da parte dei gestori, è prevista l’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie.

“Ticket redemption”, come funzionano
I giocatori – nella stragrande maggioranza bambini e ragazzi – inseriscono il denaro nella macchinetta, giocano e, a prescindere dal risultato, ottengono comunque un ticket con un punteggio. I ticket possono essere accumulati e usati per “acquistare” premi presenti all’interno della sala giochi. Naturalmente, per ottenere un “premio” come un Mp3 è necessario accumulare molti punti, e dunque giocare (inserendo soldi nella macchinetta) molto, anche per ore intere. Con il rischio di sviluppare una vera e propria dipendenza: quella da gioco, appunto. A differenza delle slot machine, che sono vietate per legge nazionale ai minori di 18 anni, le ticket redemption sono invece accessibili perché la vincita non è in denaro ma in ticket.

Giovanissimi e gioco d’azzardo: la situazione in Emilia-Romagna
Tra le dipendenze patologiche che interessano gli adolescenti emiliano-romagnoli, c’è anche il gioco d’azzardo: il 20% delle ragazze e il 46% dei ragazzi tra gli 11 e i 19 anni giocano d’azzardo in modo occasionale, ma quasi il 5% dei maschi (contro lo 0,9% delle femmine) è a rischio di ludopatia, come emerge dall’ultima “mappatura” degli adolescenti svolta dalla Regione a fine 2016.

Dipendenza da gioco, le persone in cura
Le persone che nel 2017 si sono rivolte ai servizi delle Aziende Usl dell’Emilia-Romagna per dipendenza da gioco d’azzardo e prese in carico sono state 1.521. L’utenza è in prevalenza di sesso maschile e la fascia di età più rappresentata è quella tra i 41 e i 50 anni.

“Dopo di noi”, in due anni in Emilia-Romagna assistite 860 persone con gravi disabilità e prive di sostegno familiare

1.064 interventi, di cui hanno beneficiato 860 persone con gravi disabilità (468 uomini e 392 donne, prevalentemente tra 36 e 45 anni di età), per ognuna delle quali le équipe multi-professionali dei servizi sociosanitari del territorio hanno predisposto progetti personalizzati, di autonomia inclusione sociale. Con un preciso obiettivo:  assicurare alle persone con disabilità gravi prive del sostegno familiare la necessaria assistenza per una vita dignitosa.

Questo il primo bilancio, in Emilia-Romagna, della legge 112/16, meglio nota come“Legge sul Dopo di Noi”, a due anni dall’approvazione del programma regionale di attuazione. I risultati del monitoraggio effettuato nel 2018 sono contenuti nel provvedimento approvato nei giorni scorsi dalla Giunta regionale, con cui viene anche stabilita la ripartizione tra tutte le Aziende sanitarie emiliano-romagnole, per il 2018, di 3,7 milioni di euro del Fondo nazionale per il “Dopo di noi”.

Le risorse vengono suddivise tra le Ausl del territorio in proporzione al numero dei residenti di età compresa tra 18 e 64 anni. All’Ausl Romagna, con oltre 677 mila cittadini residenti in questa fascia di età, sono assegnati 939 mila euro; all’Azienda sanitaria di Bologna 734 mila (529.580 residenti); Ausl Modena 590 mila (426.049 residenti); Ausl Reggio Emilia 452 mila (326.045 residenti); Ausl Parma 380 mila euro (274.173 residenti); Ausl Ferrara 285 mila (205.587 residenti); Ausl Piacenza 239 mila (172.348 residenti) e Ausl Imola che ha ricevuto risorse per 110 mila euro (79.744 mila residenti).

Gli interventi per il ‘Dopo di noi’ realizzati in Emilia-Romagna

Gli interventi più diffusi sono le cosiddette ‘Scuole di autonomia’: appartamenti nei quali le persone con disabilità, ancora assistite dai propri familiari anche se ormai anziani, imparano a rendersi il più possibile autonomi nella gestione della vita quotidiana (cucinare, fare la spesa, pulire la casa, prendersi cura della propria persona), preparandosi ad uscire dalla famiglia di origine. Le persone coinvolte in questi soggiorni a termine sono state 482.

Altri interventi hanno riguardato 325 persone, ormai prive di sostegno familiare, ospitate in piccoli appartamenti (da 3 a 5 ospiti), che non prevedono la presenza di personale giorno e notte, oppure in gruppi-appartamento, che garantiscono una presenza maggiore di personale educativo ed assistenziale e dunque una situazione più adeguata a chi ha meno autonomia.

144 interventi hanno poi riguardato percorsi di accompagnamento per l’uscita programmata dal nucleo familiare di origine o da strutture residenziali ritenute meno adeguate, con la successiva accoglienza in piccoli appartamenti per l’autonomia o gruppi appartamento.

Infine, sono stati 55 i tirocini finalizzati all’inclusione e 58 i ricoveri temporanei in strutture residenziali, per fornire alle famiglie assistenza in particolari casi di emergenza.

Per realizzare le soluzioni residenziali del ‘Dopo di noi’ su tutto il territorio regionale sono stati utilizzati 91 appartamenti (molti di questi messi a disposizione delle famiglie, altri dai Comuni), 26 dei quali ristrutturati grazie alle risorse del Fondo nazionale.

Nel primo biennio di applicazione della legge, la Regione Emilia-Romagna ha già messo a disposizione oltre 10,2 milioni di euroUlteriori 2,8 milioni saranno assegnati a breve per finanziare progetti per la costruzione e la ristrutturazione di abitazioni destinate al Dopo di noi, già individuate dalle Conferenze territoriali sociali e sanitarie.

Come funziona la legge e dove rivolgersi

Per accedere agli interventi i cittadini possono rivolgersi allo Sportello sociale che è presente in ogni distretto, all’assistente sociale disabili del Comune o quartiere di residenza oppure all’Unità di valutazione multidimensionale (Uvm) disabili: l’équipe composta da operatori sociali e sanitari del Comune e Azienda sanitaria di residenza, che ha il compito di definire con la persona con disabilità il Progetto individuale di Vita e di Cura previsto dalla legge. Tra i requisiti richiesti, la certificazione dello stato di gravità, non determinata dal naturale invecchiamento o da patologie connesse alla senilità, e l’essere privi del sostegno familiare perché senza entrambi i genitorioppure, se ancora in vita, non più in grado, per ragioni connesse all’età, di fornire una vita dignitosa ai propri cari. Deve poi essere garantita la priorità d’accesso alle persone gravemente disabili sole e prive di risorse economiche reddituali e patrimoniali, che non siano contributi percepiti in ragione della condizione di disabilità.