Un 8 marzo sospeso

Un 8 marzo sospeso, inatteso. Penso a diverse storie di donne. Abbiamo il 78% di infermiere donne in Italia. Sono il 52% i medici donna, un sorpasso rispetto agli uomini registrato per la prima volta quest’anno. Tante le ricercatrici. Donne che fanno il proprio lavoro con il massimo della professionalità, con dedizione, tempo e sforzi. Poi ci sono le donne dimenticate fra Idlib e il confine greco. Viene da pensare a quelle sconosciute in marcia verso una salvezza che forse non vedranno. Al loro stringere, scaldare, trascinarsi dietro i piccoli, disperatamente in cerca di qualcosa per sfamarli. Viene da pensare a che cosa deve essere, per una madre, lasciarsi indietro un piccolo corpo freddo e rigido sepolto alla meglio in un campo, e continuare a marciare: perché gli altri figli vivano. Quando il padre magari non c’è più: disperso, prigioniero, caduto. 

Tutto questo si legge nelle foto dell’esodo dei profughi se appena ci si sofferma un momento. E si intravede anche, nel cuore oscuro della guerra e della violenza, una silenziosa immane forza femminile: una vocazione a proteggere, mettere al mondo, amare, a far vivere e non a far morire. E in questo 8 marzo il pensiero va anche alle mamme, mogli, sorelle che donano la loro vita ad un famigliare non autosufficiente per prendersi cura di lui nella quotidianità. Da troppo tempo si aspetta una legge che tuteli a 360 gradi la figura del caregiver familiare, nel 70% dei casi appunto donna. Sono eroine troppo spesso invisibili e silenziose dei nostri tempi, hanno diritto al pieno riconoscimento e al sostegno dello Stato. Come le donne del nostro sistema sanitario, come le donne di Idlib.