Reddito di solidarietà – Una riflessione su “La Libertà”

 

Non un reddito minimo, ma una rete di protezione, una mano tesa a chi si trova in condizione di povertà e vuole rialzarsi. Si tratta del Reddito di solidarietà, divenuto legge in Emilia Romagna. La misura prevede un beneficio economico fino a 400 euro al mese; condizione per l’accesso, mediante domanda ai Servizi sociali del proprio Comune di residenza, è un Isee pari o inferiore ai 3 mila euro annui. Sarà poi lo stesso Comune a seguire i beneficiari con progetti di reinserimento personale in grado di coinvolgere l’intera famiglia, dal fronte del lavoro a quello della frequenza scolastica, passando per la cura dell’alloggio.

Per il Reddito di solidarietà la Regione ha stanziato 35 milioni di euro, che si sommano ai 37 previsti per l’Emilia-Romagna dalla misura nazionale entrata in vigore lo scorso settembre: il Sostegno per l’inclusione attiva. Anche questo provvedimento va a famiglie con Isee inferiore a 3.000 euro, ma a differenza del Reddito di solidarietà pone altre condizioni, fra le quali, ad esempio, la presenza in famiglia di almeno un minore o un figlio adulto disabile o una persona in stato di gravidanza. Nelle nostre intenzioni, il Reddito di solidarietà dovrebbe dunque «completare» il Sostegno per l’inclusione attiva: mentre quest’ultimo va alle sole famiglie povere con almeno un minore, il Reddito di solidarietà è disponibile a tutti i nuclei sotto i 3 mila euro, purché siano residenti da almeno due anni in Emilia Romagna.

Questo lavoro fa riferimento a una visione del welfare ben precisa. Non c’è dubbio, infatti, che il sistema di protezione sociale del nostro Paese, quindi anche della nostra Regione, non riesca a comprendere appieno quelle novità di disagio davanti alle quali la società lo pone. La sfida del nostro tempo è anche quella di cercare di dare risposte che aiutino chi ancora soffre, senza cadere nell’assistenzialismo. La nostra Repubblica è fondata sul lavoro e a questo obiettivo bisogna tendere, puntando sull’inclusione e sul reinserimento della persona nella società grazie alla dignità di un’occupazione, non a elemosine.

Per il Reddito di solidarietà ci siamo basati su tre assunti principali. Il primo: l’allargamento della platea, quindi l’idea di integrare l’intervento del Governo. Oltre a famiglie con minori, andiamo dunque a portare un aiuto a persone sole o ad anziani a basso reddito. Secondo punto. Una visione progressista del welfare: non vogliamo far vivere le persone senza lavorare, l’aiuto pubblico non deve essere un salvagente a vita. Controlleremo l’efficacia dello strumento, ecco perché abbiamo inserito tanti paletti, vincoli, monitoraggi, cautele affinché il patto di reinserimento possa funzionare al meglio. Il reddito di solidarietà, inoltre, potrà essere concesso per non più di 12 mesi. Terzo punto: una responsabilità sostenibile, in grado di raggiungere degli equilibri anche tra le politiche pubbliche della Regione, tra i servizi che questa Regione offre.

Infine, due considerazioni: dobbiamo cercare di raggiungere sempre più un welfare in grado di diversificarsi rispetto ai bisogni a cui deve rispondere, addirittura riazzerarsi qualora si capisca che la risposta data non risulti sufficiente. Se le politiche pubbliche non funzionano si interrompono e si rivedono. In secondo luogo, impegnarsi a ridurre le diseguaglianze sociali ed economiche è fondamentale perché i cittadini conservino un sentimento di appartenenza alla vita democratica. Sostenibilità, responsabilità, allargamento della platea. Combinando pragmatismo, diritti e doveri, abbiamo compiuto un piccolo passo per il contrasto alla povertà estrema. Siamo la prima Regione italiana a dotarsi di una misura simile; una risposta comunque sperimentale e come tale da verificare nei mesi a venire. Siccome la povertà talvolta rischia di toccare i giovani, in difficoltà nella ricerca del lavoro, ho lavorato ad un documento che impegna la Regione “ad attivarsi presso il Governo affinché renda possibile, per le singole regioni, utilizzare le somme stanziate ma non spese per il sostegno per l’inclusione attiva, in azioni di sostegno all’occupazione giovanile”. Non siamo rimasti a guardare le sofferenze delle persone, ora dobbiamo osservare l’efficacia dello strumento.