“Ma si può anche dare la vita per la Patria libera, no?”

Dallo scorso anno la tonaca invernale che Don Pasquino Borghi indossava al momento della sua morte è esposta dentro una teca conservata nella sagrestia della Parrocchia di San Pellegrino. La scelta del luogo non è casuale. Infatti, nella fredda mattina del 10 gennaio 1944, Don Pasquino va a San Pellegrino per incontrare Don Angelo Cocconcelli, sacerdote della parrocchia e Giuseppe Dossetti. I due avvisano Don Pasquino del pericolo che egli sta correndo: i fascisti sanno che a Tapignola, dove era parroco, sta nascondendo un gruppo di alleati fuggiti della prigionia. Ne nasce un diverbio, Don Cocconcelli e Dossetti lo esortano a mandare via i resistenti. Don Pasquino risponde: “Ma dove li mando questi poveri ragazzi con 30 centimetri di neve gelata, se nessuno li vuole!”. “Ma è un pericolo mortale!”. E ancora: “Ma si può anche dare la vita per la Patria libera, no?”. Fu la domanda con cui Don Borghi chiuse la discussione.

Qualche giorno dopo fu arrestato e fucilato la mattina di 75 anni fa insieme ad altri 8 resistenti antifascisti: Ferruccio Battini, Romeo Benassi, Umberto Dodi, Dario Gaiti, Destino Giovannetti, Enrico Menozzi, Contardo Trentini ed Enrico Zambonini. Fu fucilato alle spalle, la prassi riservata ai traditori.

Don Pasquino fece la sua scelta che gli costò la vita. Morì per la Patria, una parola ambigua, ricca di significati e di contraddizioni. Cos’è allora la Patria di Don Pasquino? La patria da difendere? La patria dei confini? No, è la Patria come comunità, come storia comune, come valori condivisi, come rivendicazione della dignità dell’uomo, anche a costo del sacrificio. Oggi l’Italia è un luogo dove ci sentiamo parte, dove ci sentiamo accolti e responsabilizzati. Se oggi siamo Patria, e non una mera espressione geografica, è anche grazie alle persone come Don Pasquino Borghi.